Una stupida palla

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Tutto era cominciato mentre mi facevo un giro in santa pace sulla mia fidata bicicletta. Vidi Bertold e gli altri, farfugliavano su una casa stregata. Subito frenai la bici che si impennò in avanti, e mi misi a ficcanasare. "Di che parlate?"

"Quella stupida palla è finita nella casa stregata" disse Rosso, un ragazzo alto, anzi, altissimo e più magro di uno stecchino con la pelle bianca come il latte e i capelli rossi, da lì il soprannome.
Una palla. Una casa stregata. Tutto mi era molto familiare... " quindi..?" Dissi, anche se avevo capito dove volevano andare a parare.

" Quindi ora qualcuno deve andare a prenderla...Visto che dici di essere tanto in gamba; perché non ci fai vedere quanto sei brava, scavalchi l'inferriata e ci vai a prendere la palla? "disse Bertold, capace di farmi imbufalire solamente sorridendo. Fece un ghigno di superiorità e io quasi non gli scoppia a ridere in faccia. Quando rideva gli si vedevano i denti gialli, troppo distanti gli uni da gli altri e potevi star certo che tra lo spazio chilometrico che c'era tra i denti davanti vi era rimasto incastrato qualcosa.

"Eh Clara, che ci dici?" Fece eco Rosso, visto che non rispondevo.

" che c'è Betty? tu hai troppa paura per andarla a prendere?' Perché erano quelle le parole non dette e io lo sapevo.

Bertold faceva il duro, e così diceva il suo aspetto. La giacca di pelle, il coltellino svizzero -a mio parere patetico- che gli usciva dalla tasca e i capelli neri gellati all'insù davano l'impressione del duro e tutti lo rispettavano. Ma io non mi lasciavo ingannare perché per quanto fosse più grande di me, in fondo era solo un fifone. Ero l'unica -e anche l'unico- che gli teneva testa in quel modo e una volta lui provò anche a farmela pagare ma dopo di allora non ci provo più.

Dico solo che quel giorno, per caso, avevo un bel coltello da caccia, impugnatura in legno e lama dentellata in lega d'acciaio rinforzato, tra le mani -prima di morire in Afghanistan mio padre mi insegnò ad usarlo e a lanciarlo- e che, per caso, dopo l'ho dovuto dissuadere dal non denunciarmi.

"Non credo proprio. Forse sei tu qui quella che ha paura, mia cara Clara" la sua voce mi riporta al presente e, non riuscendo più a trattenermi, un sorriso involontario mi spunta sulle labbra.

"Ti piacerebbe..." dissi io.

E lì sputò la fatidica frase: "certo. È una femmina è ovvio che non ci entra. In quel negozio, potrebbero esserci i ragni! "Disse rivolto all'amico e tutti si misero a ridere.

Fu allora che urlai " Okay! Okay, ci vado" non per le risate. Quelle non mi toccarono minimamente. Non mi sentivo in imbarazzo difronte a quattro idioti. Ma per questione di orgoglio.

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