Capitolo 1

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Venerdì 13 ottobre

Un anno dopo

<<Buongiorno Eleonor, vedo che siete già in piedi>>. Vedeva la sua figura riflessa nella finestra, ma non aveva alcuna intenzione di conversare con lui. <<Che ne dite se oggi proviamo qualcosa di nuovo?>> continuò a non proferire parola.

<<Sapete disegnare?>> chiese nuovamente. <<Vi prego di rispondermi>> era così gentile, che qualche volta la ragazza si dispiaceva a non conversare.

Il Dottor Richards la voltò verso l'uomo in modo alquanto brusco. <<Siediti>> le ordinò con voce ferma. La fece sedere con forza sulla sedia davanti al tavolo in metallo, freddo e argenteo; lo odiava con tutta se stessa.

Il dottore tornò ad appoggiarsi davanti alla porta d'uscita, con le braccia conserte. <<Non scapperà questa volta, non ha motivo di farlo>> l'uomo davanti a lei sorrise. Era così amichevole.

<<Dunque, sapete disegnare?>> chiese nuovamente. Ella negò con la testa, osservando le sue iridi verdi. <<Che peccato, non potremmo fare niente allora>> le sue labbra si incresparono in una smorfia. <<Perché dovrei saper disegnare?>> chiese la giovane osservando i fogli sul tavolo, accompagnati da una matita rossa.

<<Molti ragazzi della vostra età sanno disegnare, alcuni trasformano una passione nel loro lavoro, altri la tengono nascosta>> spiegò. <<Perché tenere nascosta una qualità? Perché trasformare la propria felicità in un obbligo?>> chiese lei ancora.

<<Non è un obbligo per loro, anzi è un piacere>> le porse uno dei tanti fogli, e la matita. <<Una volta mi avete detto che nella vostra testa ci sono delle voci, potete disegnare a modo vostro ciò che vi dicono?>> incrociò le dita fra di loro.

<<Una qualsiasi forma andrà bene>> con le mani tremanti, impugnò a dovere la matita. <<Perché?>> il tono della sua voce si affievolì. <<Voglio aiutarvi>> la sua voce era molto sicura (al contrario di quella della ragazza); ma ella stava avendo un brutto pensiero, uno dei tanti. <<Mollerà prima o poi, tutti si arrendono almeno una volta nella vita>>.

<<Si arrenda>> gli disse sicura posando la matita: ella produsse un flebile rumore. <<Mi chiedeste aiuto un anno fa, ed intendo aiutarvi>>. <<Non ce la farà>>

<<Digli di andarsene, non ci serve il suo aiuto>>. Una voce nella sua testa espresse la sua opinione; un'opinione mai chiesta.

<<La prego se ne vada>> sussurrò. <<Non intendo farlo. Perché non parliamo, vedo che oggi ne avete voglia>> sorrise ancora. <<Avete incontrato Thomas? Come sta?>>. Una lacrima lasciò i suoi occhi castani.

<<So che è venuto qua con vostra madre ieri, avete parlato?>> chiese ancora. <<Eleonor perché non avete intenzione rispondermi?>> troppe domande le stava rivolgendo. <<Eleonor vorrei sapere di cosa avete parlato>> un lungo sospiro abbandonò i suoi polmoni, segno che qualcosa nel corpo di lei stava accadendo.

Il battito iniziò ad accelerare. <<Lasciatemi andare>> sussurrò pregandolo con lo sguardo. <<Che cosa sentite Eleonor?>> chiese. <<Mi lasci andare!>> si allontanò dal tavolo, cadendo dalla sedia. Indietreggiò fino a rimanere a contatto con il muro candido.

Portò le mani davanti al volto. <<Mi lasci andare via!>> urlò con tutta la voce che possedeva. Il dottore le si avvicinò, e l'uomo che ogni giorno parlava con lei non riuscì a fermarlo. Prese con forza le sue braccia, trascinandola fuori dalla stanza.

<<Lasciami ti prego!>> si dimenò cadendo al suolo. Due dottori, incontrati nel corridoio, le presero le gambe per impedirle la fuga; una fuga che non sarebbe mai potuta riuscire.

<<Voglio tornare a casa!>> sentì dolore al braccio sinistro, e dunque voltò lo sguardo verso esso, trovando una siringa che conteneva un liquido giallastro da iniettarle. <<Vediamo se così ti calmi>> si dimenò ancora, sentendo però il corpo farsi pesante.

<<Non è modo di calmare un paziente in preda ad un attacco di panico>> lo psicologo uscì dalla stanza dove poco tempo prima era presente anche lei. <<Noi siamo i dottori, è compito nostro prenderci cura dei pazienti>>.

Le persone iniziarono a girare vorticosamente attorno a lei, la sua vista si stava trasformando in un vortice colmo di incomprensione. <<Mi aiuti>> sussurrò. Provò un senso di freddo alla schiena, che non se ne andava. <<Trascinare il corpo di una ragazza sedata è prendersi cura di un paziente?>> le voci iniziarono ad ovattarsi nelle sue orecchie.

<<Dottor Marks mi aiuti>> la voce le uscì come un lamento strascicato a forza. <<La prego>> aprì e chiuse gli occhi con molta fatica. <<Non si immischi nel nostro lavoro>>.

Venne posata sopra ad una superficie morbida. <<Riposa Eleonor, ti farà bene>> volse lo sguardo nel luogo dove si trovava, ma le sembrava così apparentemente sconosciuto. <<Dove sono?>> sentì i suoi polsi stretti. <<Ti ho detto di riposarti>>.

Continuò a respirare in modo alquanto faticoso; chiuse gli occhi ancora colmi di lacrime salate. <<Voglio mia madre>> sussurrò. <<Chiamate mia madre>> continuò imperterrita. Un forte suono fece vibrare la sua vista; quanto ancora avrebbe dovuto aspettare per addormentarsi?

<<Vi prego, voglio mia madre>> continuò questa sua lamentela, tenendo gli occhi chiusi. <<Mia madre>> sussurrò ancora. <<Chiami mia madre>>.

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