𝕔𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕠 𝟡

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Vorrei cercare di contare quelle cose strane che fai

E quant'è strano farsi del male

Mentre il tempo spegne quello che sei

-Caccia Militare (Rovere)

Lui era considerato così.
Ormai non c'erano vie di scampo.
Park Jimin  era quello gay; quello di una notte e via; quello che pur di aver soldi si prostituisce; quello che è stato con un delinquente; quello che si droga; quello che cambia colori di capelli ogni santo giorno;
quello che viene scambiato per donna; quello che non si fa i cazzi suoi; quello che potrebbe fare di più; quello che non chiede scusa; quello che non perdona; quello che non si importa degli altri; quello che forse dovrebbe stare in America dai suoi perché qui non troverà mai nulla, perché è un fallito; quello abbandonato a se stesso; quello che non ha amici; quello che non sorride; quello che non è libero; quello che  ha paura del futuro; quello che si guarda allo specchio e pensa di essere un peso.

<<Basta!>> urlò dando fine a quei continui pensieri che lo continuavano a sopprimere, per la troppa rabbia diete un pugno allo specchio che in quel momento rifletteva il suo corpo, ma ormai era rotto.
Rotto come lui,
Rotto come il suo cuore, i suoi occhi rossi dal pianto ininterrotto, i suoi zigomi bagnati da quell'acqua salata, le sue labbra screpolate, i suoi singhiozzi che facevano tremare il suo esile corpo, le nocche della sua mano sinistra rotte, scorreva una vagonata di sangue, ma non se ne importò. Si alzò e senza nemmeno aggiustarsi di poco corse verso la porta d'ingresso e scappò lontano.

***

Erano minuti che Jimin aveva incontrato Jungkook e quest'ultimo appena vide il viso bagnato e del sangue sulla sua piccola mano si allarmmò e non poco.
<<Mi spieghi che ti è preso Jimin?! Potevi farti veramente del male, fortuna che i pezzi di vetro non ti siano entrati all'interno. Ma mi ascolti quando parlo!>> Jungkook era furioso, spaventato e poco attento al suo tono di voce.
Aveva avuto paura che il biondino si potesse tagliare ancora di più di prima e farsi del male automaticamente <<Jimin -si masaggiò  il capo stremato- puoi dirmi perché?>>  questa volta prese dolcemente la mano destra, quella senza la ferita, e la accarezzò <<Non ti giudicherò>> affermò ancora il corvino <<Io - singhiozzò- era da un po' che volevo farlo>> affermò guardando un punto dello studio di Jungkook, erano in quella cazzo di stanza da più di trenta minuti ed erano molto vicini e la sanità mentale del più piccolo non faceva che andare a puttane.
<<Posso chiederti perché?>> chiese per la terza volta Jungkook e Jimin sbuffò <<Non sapevo di essere dal mio psicologo>> di scatto allontanò la sua mano da quella del più grande e la portò sulla sua ferita, che era stata curata dal maggiore.
<<Jimin mi spiace deluderti ma non è questo il mio mestiere>> avvicinò le dite sottili e accarezzò il viso paffuto ma perfetto dell'altro <<Sono stanco, io non sono libero di fare ciò che voglio>> di certo Jungkook non si aspettava questa confessione dal minore ma gli annuì per far si che continuasse il discorso <<Fa male quando sei considerato quello che non sei, specialmente quando non ti conoscono. Credono che giudicandoti possano fare tanto ed invece, non sanno un emerito cazzo!>> prese una penna dalla grande scrivania di Jungkook e la lanciò al muro.
Dopo compiuto il gesto abbassò il capo e chiese scusa, mentre il maggiore ridacchiò felice appoggiando le mani attorno alla sedia che sosteneva Jimin, si avvicinò al suo viso e lo baciò.
Entrambi lo desideravano, si notava da un chilometro di distanza, ma doveva essere tutto perfetto, Jimin e Jungkook se lo erano promesso.
Uno per la sua esperienza passata mentre l'altro per aver issato muri attorno al suo cuore palpitante.
Se lo dovevano a vicenda.

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