20 Ora sei tutto mio

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Cinque novembre...

Levi beveva il suo tè nella saletta delle macchinette, in solitaria, niente di nuovo insomma. Nel frattempo avrebbe dovuto avere la 5B, ma quel pomeriggio era arrivato un avvocato per fare un approfondimento di diritto in quella classe, e dato che a Levi non era stato assegnato alcuna classe a cui fare sostituzione era dalle macchinette a bere. Meglio così, almeno non avrebbe visto Eren. Era da metà settembre che lo perseguitava; durante le lezioni non si guardavano, né interagivano fra loro in alcun modo. A fine ora lo studente andava da lui con l'intenzione di parlargli, ma lui si inventava sempre una scusa per non chiacchierare con lui. Non odiava Eren, né gli voleva male, ma aveva paura; paura che il padre lo avesse influenzato sugli eventi di otto anni prima, che gli avesse raccontato stronzate abnormi. Quando suonò la campanella si alzò dalla sedia e si sistemò per andare in 1A, ma quando guardò l'entrata avvertì il sangue salire nelle tempie. Petra Ral portava gli stessi abiti che indossò nel famoso processo di otto anni prima, con in mano una piccola ventiquattr'ore di pelle nera.
"Che ci fai qua?", chiese Levi.
"Ho fatto lezione dal tuo amato Eren. Non te lo ricordavi?".
"Non mi avevano detto che eri te".
"Che importanza ha?" mosse qualche passo verso di lui "Ora che lui è dalla sua famiglia, noi due possiamo essere fidanzati, come un tempo...".
"Ma chi ti vuole! Per colpa tua ho perso Eren!".
"Mio caro Levi, io sono un'avvocatessa, mica mi posso permettere di non fare il mio lavoro".
Il professore la spintonò altamente disgustato, sia per via delle sue parole che dal modo in cui le disse, ed uscì dalla stanzetta, ma mentre stava percorrendo il corridoio un qualcosa lo colpì fortemente sul fianco sinistro che lo spinse contro una porta. Essendo aperta entrò nella stanza, rivelandosi un ripostiglio. Avendo sbattuto la tempia contro il muro la vista si era appannata e le energie venute a mancare. Guardò la porta e vide entrare Petra, chiudendola dietro di sé; i suoi occhi erano arrossati e aveva un ghigno stampato sul volto.
"Una maledetta...cagna in calore...", mormorò Levi.
"Un'Alfa", precisò lei.
La vide prendere un rotolo di nastro isolante ed immobilizzare il prof schiacciandogli la schiena con lo stivale. Lui iniziò a dimenarsi, ma avvertì i polsi venir legati dal nastro, così come le caviglie, le ginocchia e i gomiti.
"Liberami figlia di-".
Ad interromperlo furono due pezzi di nastro che gli tapparono la bocca, come se uno non fosse abbastanza.
"Ecco qua Levi. Ora sei tutto mio".
Il prigioniero tentò di liberarsi e di chiamare aiuto, ma i suoi arti erano stati legati stretti e dalla bocca uscirono soltanto mugolii strozzati.
"Ti farei in seduta stante piccolo mio, ma sai, siamo a scuola. Appena finisco ti porterò a casa mia. Da allora sarai solo ed esclusivamente mio".

Non voleva arrendersi. Era da metà settembre che Eren tentava di parlare col professore Levi, ma quest'ultimo sgusciava via appena lo vedeva - e date le sue ridotte dimensioni non era affatto difficile - e durante le lezioni non parlavano praticamente mai tra loro. Sospirò, ma non si dava per vinto. In un modo o nell'altro avrebbe vinto; poteva starne certo. In quel momento vide l'avvocatessa Ral uscire dal ripostiglio e chiuderlo a chiave. Che cosa avesse fatto lì dentro non era un problema suo, ma lei forse poteva sapere dove si trovava Ackermann. Corse verso di lei e la chiamò, e questa si girò quasi urlando, facendo un piccolo salto per la sorpresa.
"Eren! Oh menomale, mi hai fatto prendere un infarto...".
"Mi perdoni. Mi saprebbe dire se ha visto il professor Ackermann?".
"No mi dispiace...ti è piaciuta la mia lezione?".
"Eh? Aaah, sì sì, molto interessante!".
"Mi fa piacere. Ci vediamo".
"Arrivederci".
Se se molto interessante...e io che stavo dormendo dal cambio dell'ora...
Scosse la testa e mentre la guardava andarsene si girò ed andò verso il ripostiglio; la porta era sì chiusa, ma la chiave era ancora inserita nella serratura. Che ci faceva Ral nel ripostiglio? Non era una bidella, nemmeno un professore; insomma, non aveva alcun motivo per entrare!
Darò solo un'occhiata
Fece scattare la serratura ed entrò impavido. La luce era spenta per cui la accese, e nel mentre chiuse la porta dietro di sé. Quando si voltò rimase pietrificato. Il professor Ackermann era seduto per terra, legato ed imbavagliato con del nastro adesivo, a guardarlo con sguardo allibito.
"Ma che diavolo ci fa qui?".
La sua unica risposta fu un mugolio.
"Ah vero, non può parlare. Pardon".
Levi sospirò dal naso. All'inizio Eren pensò di liberare il poveretto, ma poi si rese conto che se lo avesse fatto Levi sarebbe di nuovo scappato da lui senza dire niente. Ne doveva approfittare.
Ora o mai più
"E così non può scappare? Meglio così. Almeno così tutto è più facile".
Il più grande lo guardò tra il preoccupato e l'incazzato, iniziando ad agitarsi e mugolare. Eren spostò alcuni sacchi pieni di cianfrusaglie da un angolo e tirò fuori un carrello delle pulizie, equipaggiato con ganci per appendere le scope e un sacco di plastica.
"La porterò a casa mia. Almeno potremmo parlare con più calma".
Ma ti sei bevuto il cervello razza di cretino?!, pensò Levi mentre Eren lo prendeva a mo di sposa ed infilato dentro al sacco del carrello. Trovandosi ingabbiato tra pareti plastiche e sbarre di sostenimento metalliche cominciò ad agitarsi, soprattutto quando vide Eren gettare dentro stracci vecchi e immondizie di vario genere.
Immondizia...sporco...ti ammazzerò Yager stanne certo!
Il sacco venne chiuso ed in alto Eren vi fece un piccolo foro con le forbici.
"Così respira", fu il commento del giovane.
Sentì il carrello muoversi, ascoltando il cigolìo delle rotelle sulle mattonelle. Sentiva i passi delle altre persone nei corridoi, ma nel profondo sapeva che nessuno lo avrebbe mai salvato. Non poteva neanche muovere un muscolo, anche perché il sacco si trovava all'interno di una sorta di gabbia che serviva a sostenere i lembi della sporta. Avvertì il suono dell'ascensore mentre chiudeva le porte e la pressione sulla testa, intuendo che stavano andando al piano terra. Dopo un po' si mosse e dato lo strano traballare del carrello capì che stavano scendendo dei piccoli gradini. Poi il sacco venne aperto e due braccia lo presero a mo di sposa; Levi venne fatto sedere sul sedile posteriore di un'auto - probabilmente una Mini Cooper, posta sul retro della scuola - argentata con i finestrini posteriori oscurati. Eren agganciò la cintura al professore e chiuse la portiera, poi salì sul posto del conducente e partì. Durante il viaggio dava degli sguardi allo specchio retrovisore, ma mai ricambiati. Levi non osava mai guardarlo, preferendo contemplare il mondo scorrere fuori dal finestrino.
"Se si sta domandando come faccio a guidare già" disse Eren "deve sapere che mio padre ha conoscenze nella scuola guida locale, per cui ho avuto la patente subito. Purtroppo però la macchina è di mia madre".
Levi sospirò e basta. Ormai non aveva più possibilità di scappare. La migliore delle ipotesi era che Eren gli avrebbe parlato e poi liberato, ma temeva ben peggio. Che lo aggredisse, che lo stuprasse...
No. L'Eren che conosco non lo farebbe mai
Ma davvero non l'avrebbe mai fatto?
Chi poteva dirlo, visto che non lo conosceva affatto? Che non lo vedeva da anni?
Chissà, magari nel tempo era diventato un cattivo ragazzo, un violento nei confronti dei più deboli.
Dopo circa tre quarti d'ora arrivarono davanti ad una casa, gigantesca e bianca. Eren parcheggiò dentro al garage e quando lo chiuse col telecomando spense il motore. Uscì dall'autovettura e dopo aver preso Levi in braccio lo portò dentro casa. Il più grande dovette ammettere che era piuttosto bella; tutto l'arredamento era in stile antico, solo pietra e legno.
"Le piace?", chiese Eren.
Levi girò la testa dall'altra parte, senza fare alcun verso.
"Come vuole. Andiamo in camera".

Mi chiamo Eren! ~Ereri~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora