Capitolo 21: 𝒊𝒍 𝒑𝒓𝒊𝒎𝒐 𝒂𝒑𝒑𝒖𝒏𝒕𝒂𝒎𝒆𝒏𝒕𝒐 𝒄𝒐𝒏 𝑷𝒆𝒕𝒆𝒓 𝑷𝒂𝒏.

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Lunedì 10 giugno.

Quel giorno era finalmente arrivato. E con lui sarebbe iniziata l'interminabile serie di appuntamenti a cui avrei dovuto sottopormi per scovare il mio futuro sposo. Il lunedì ero tutta di Oliver, con mia estrema gioia.

Flavio Aureliano Nobili aveva approvato le idee che gli avevo mandato, cambiando alcuni dettagli o giorni. Sarebbe stato lui a occuparsi di prenotare i vari posti e di avvertire i suoi figli. Io dovevo solo presentarmi e fare del mio peggio.

Il lunedì dieci avevo in programma una bellissima giornata al lago di Como. Mi ero svegliata alle nove e dovevo incontrarmi con Oliver verso le dieci davanti all'entrata della villa. Per opporsi a quell'evento programmato, la mia mente stava facendo di tutto per farmi arrivare in ritardo: la mia sveglia non era suonata e io mi ero svegliata solo grazie all'ansia perenne che inconsciamente aveva un orologio tutto suo; la crema solare mi era caduta sulla maglietta ed ero dovuta andare a cambiarmi. Non avrei dunque dovuto prendermela comoda con la colazione, eppure feci con calma.

Seduta nel mio solito tavolino, stavo osservando le foglie degli alberi. Hope era dall'altra parte della stanza ed entrambe avevamo deciso di ignorarci. Mi chiesi cosa pensasse del matrimonio. Di sicuro doveva essere gelosa di non avere le attenzioni di tutti su di sé. Per un momento mi lasciai trasportare da un senso di superiorità. Finché non riflettevo sulle catene che si stavano attorcigliando sul mio corpo, ero entusiasta della situazione in cui mi trovavo.

La realtà mi colpii appena vidi una delle concubine entrare nella sala da pranzo e sedersi accanto a Hope.

Io e Hope non eravamo uguali.

Lei era stata scelta perché le persone genuinamente l'amavano. Nel mio caso, gli altri erano stati costretti a scegliermi, a cercare di avermi intorno.

Io non ero superiore a Hope. Al contrario, continuavo a stare mille gradini sotto di lei in una competizione verso una vetta sconosciuta.

Fissai il waffle che avevo davanti, non avevo più fame.

Forse una volta raggiunto il lago mi sarei sentita meglio. Anche se già ne dubitavo, visto che accanto avrei avuto Oliver. All'idea di passare un'ora di viaggio nella sua auto, sentii l'energia svanire.

Quell'appuntamento mi intimoriva. Come avrei dovuto comportarmi? Di cosa avremmo parlato? Non ero certa nemmeno che avremmo aperto bocca. Non sapevo niente di Oliver, se non che era uno stronzo. Me lo immaginavo come una versione più bassa e riservata di Lucky. Il suo vero target era sempre stato Jackson, che per qualche motivo odiava con tutto se stesso. Fin da quando Jackson era comparso, infatti, Oliver non si era mai fatto problemi a insultarlo o trattarlo con superiorità. Aveva smesso solamente quando Jackson aveva iniziato ad andare in palestra.

Per quanto riguardava il suo aspetto esteriore, Oliver era la copia carbone di sua madre: capelli biondo fragola, occhi azzurri, viso ovale. I suoi tratti erano più mascolini e il naso era quello di suo padre: dritto ed elegante. Ma l'unione dei suoi genitori non aveva creato un dio greco quanto più uno stronzo che aveva la faccia da schiaffi. Forse era colpa del suo sorriso irritante o del suo portamento. O di quella luce folle che gli illuminava lo sguardo nei momenti in cui dava il peggio di sé, ossia quando dalle sue labbra uscivano le cattiverie più crudeli che avessi mai sentito.

Concentrata nei miei pensieri, non mi resi conto che il ragazzo che li stava occupando era diretto verso di me. Si fermò davanti al mio tavolo, colpendolo con le mani aperte. Sussultai per la sorpresa e lo fissai con disgusto. Il suo volto era serio, scontroso e duro. Per un momento pensai di essere in ritardo, ma guardando velocemente il mio orologio confermai di avere ancora tempo a disposizione.

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