Quell'imbecille di John Green

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Finalmente Bibliofilia dominava la vetrina della Libreria de Bunker Hill e di tante altre librerie di L.A. Avevo avuto la mia rivincita verso la società.

  Entrai in libreria e salutai la commessa. Ricambiò il saluto, ma non fece caso a chi fossi. Era soltanto un questione di tempo prima che mi riconoscesse e mi supplicasse in ginocchio di autografarle una copia di Bibliofilia; il direttore mi avrebbe pregato di organizzare una presentazione del romanzo, e la libreria si sarebbe riempita di miei lettori fino a scoppiare.

  Hemingway mi strizzava l’occhiolino da lassù.

  All’interno della libreria era stato allestito uno scaffale delle nuove uscite del mese. Tutti autori emergenti, tutti sconosciuti; ma una fila di copie di Bibliofilia gettava ombra sui suoi rivali, destinati a rimanere nell’anonimato. Ne presi una e ne saggiai il profumo di pagine fresche di stampa. Pagine vergini, piene di frasi mirabolanti, lette per la prima volta dal suo stesso creatore.

  La copertina raffigurava lo skyline di una notturna Los Angeles al di sotto di una coltre di nubi nere dalla quale piovevano stilizzate gocce d’acqua.  Sul retro del libro c’era una mia fotografia e una mia breve biografia: Tristan Bates, scrittore ventiquattrenne, vive a Los Angeles. Ha perseguito studi di giornalismo e Bibliofilia è il suo romanzo d’esordio.

  Non c’è mai stato molto da dire sul mio conto, e quella biografia ne era la prova.

  La fila delle copie di Bibliofilia era intatta, il che confermava una verità che non ero pronto a fronteggiare: al momento, non era stata venduta nemmeno una copia.

Sfogliavo Bibliofilia, ma intanto lo fissavo. Statura bassa, capelli  brizzolati, occhiali dalla montatura fine, faccia da coglione, giacca color cachi e jeans a basso prezzo acquistati al supermercato. Lettore medio, di scarso acume, girovagava tra lo scaffale A-K. Più vicino alla A che alla K, e infilò la mano tra i libri degli autori della lettera G. Estrasse un John Green, e mentre leggeva la trama la sua fronte si corrugò dallo sforzo di capirci qualcosa. Se sedette su uno sgabello – John Green lo stava sfiancando sia mentalmente che fisicamente – e continuò il suo tentativo di comprendere di cosa parlasse.

  Era il momento di fargli capire quale errore madornale stava commettendo e di migliorare i suoi gusti letterari.

  «I libri non sono come i film, non perdere il tuo tempo leggendo quella roba». Alzò il naso dal libro e mi squadrò. «Anzi, probabilmente lo abbandonerai a metà del primo capitolo e finirà per essere utilizzato come mobilio o come fermacarte», continuai. «D’altronde, servono proprio a questo, i John Green».

  «Non credo, la trama sembra molto profonda; e le recensioni online dicono che…»

  «Suvvia, non c’è bisogno di raccontarci palle», lo interruppi. «Nessuno compra un John Green per leggerlo davvero, forse nemmeno i famigliari dell’autore. Tu al massimo gli farai un paio di foto e le posterai su Facebook per dimostrare che hai altri interessi oltre ai motori e alla figa. Come se a qualcuno gliene freghi un cazzo di cosa leggi!»

  «Non mi conosci, come fai a dirlo?»

  «Non c’è bisogno che insceni questa commedia con me, vecchio mio, io non ci casco».

  Gli gettai Bibliofilia in grembo. «Leggi questo. È una storia di vita e di morte, speranza e decadimento. Arte pura allo stato brado».

  Il subumano diede una rapida occhiata alla copertina, non si degnò nemmeno di leggere la trama. Probabilmente non era capace di leggere testi più lunghi di tre o più righe. «Chi è questo Tristan Bates? Mi spiace, ma non leggo autori sconosciuti». Mi porse il libro. Rifiutato da un rifiuto umano…

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