Come tutte le mattine Caleb si sveglió nel suo letto argentato,spostó a lato la coperta bianca che lo copriva e appoggió i piedi sul pavimento in vetro trasparente,che lasciava intravedere le nuvoletta rosea sulla quale si trovava la sua casa.
Camminó fino alla piccola finestrella che dava sul regno e scostó un pó la tendina in raso bianca con i bordi argentati. Era una tranquilla mattinata di Agosto e la piazza era praticamente vuota. La gente preferiva rinchiudersi in casa e assistere al reality show incredibilmente noioso presentato dall'assistente del Grande Capo,piuttosto che uscire ed essere abbrustoliti dal sole come carne alla griglia.
Caleb aprí un'anta della finestra e richiuse la tenda,poi sistemó la coperta sul letto,assicurandosi di non lasciare neanche una pieghetta sottile.
Era cosí,a Eraklyon. Non c'era una distinzione di giorni,si manteneva sempre la stessa routine. Tranne alla domenica: in quel giorno era obbligatorio assistere al discorso del Grande Capo,importantissimo a detta del popolo.
Ma Caleb era semplicemente un diciassettenne,come poteva capirci qualcosa?
Tolse il pigiama in raso blu e indossó un paio di pantaloni bianchi molto larghi,accompagnati da una semplice maglietta verde. Ovviamente,tutto in raso.
Secondo i vecchi Capi di Eraklyon,il raso era il simbolo della purezza e della leggerezza. Qualsiasi colore,trasportato sul raso,veniva pulito da ogni impurezza, e ormai questa cultura si trasmetteva da centinaia di anni,forse migliaia. Non era strano per nessuno.
Per Caleb sí. Era sempre stato curioso; sin da quando era bambino si chiedeva il perché delle cose,e non si fermava finché non trovava una risposta alle sue domande,anche se questo significava esasperare tutte le persone che gli stavano intorno.
A volte si chiedeva se non avessero sbagliato a farlo nascere lí. Non riusciva a trovarsi d'accordo con nessuno; nessuno aveva la sua stessa sete per la sapienza,per i particolari. Nessuno si chiedeva mai il perché dei poteri che appartenevano a ognuna delle persone che nascevano nel regno di Eraklyon.
Per loro,erano normali e basta. Ma per Caleb no.
Insomma,ci doveva pur essere un motivo nell'avere dei poteri magici,no?
C'era forse qualche Divinitá che li osservava dall'alto dell'Infinito?
Perché,seppur non sembrava reale,loro non erano poi cosí in alto. Loro erano solo al centro.
Eraklyon,un altrove senza spazio e senza tempo,un grande nulla al centro dell'infinito.
Scosse questi pensieri dalla mente e oltrepassó il corridoio che portava alla cucina.
Non c'erano scale nella sua casa,né nelle altre. Né in tutto il resto del regno.
Secondo il Grande Capo e i suoi precedenti,si doveva essere tutti allo stesso livello,che senso aveva costruire edifici a piú piani?
Una noia mortale,pensava Caleb.
Fece scaldare una tazza di té verde e la bevve in un sorso,prima di uscire di casa saltellando allegramente. Tutti facevano cosí,ad Eraklyon.
A Caleb sembrava infantile,ma si divertiva a farlo,prendendo un pó in giro la monotona vita che tutti erano costretti a condurre lí.
A volte voleva essere nato in un mondo dove potesse vivere una vita piú spericolata,piena di avventure e guai,rischi e risate.
Alcuni la vivevano anche nati ad Eraklyon: una volta all'anno,venivano prescelti cinque ragazzi con i poteri piú forti e venivano spediti sulla Terra per catturare i Guerrieri del Buio,i residenti del Mondo di Phobos. Il loro obiettivo era conquistare la terra e di conseguenza uccidere tutti gli Eraklyoniani che ci vivevano,per arrivare lí,nel centro esatto dell'infinito,e rubare la Sfera del Potere.
Nessuno pronunciava mai quel nome. La Sfera del Potere era il potere piú potente,l'unico invincibile che esisteva nell'Universo.
Caleb non sapeva il perché dell'enorme importanza dell'oggetto,ancora non lo poteva sapere. Dicevano che avrebbe dovuto capirlo da solo,ma lui ancora non aveva inteso il motivo. Ma da una parte,non lo voleva neanche sapere.
Sentiva che scoprendolo avrebbe dovuto trascinarsi addosso un peso enorme tratto dalla consapevolezza di dover proteggere Il Potere.
Per ora voleva semplicemente godersi la sua adolescenza,per quanto fosse possibile in quel regno.A Chicago erano ormai ufficialmente aperte le iscrizoni al college piú prestigioso della cittá,famoso per i titoli di studio ottenuti da gran parte degli studenti usciti da questo,per le innumerevoli aule completamente restaurate e per la grande quantitá di professori eccellenti in grado di trasformare anche il caso piú disperato in un perfetto genio.
O almeno,questo era quello che il college inseriva nei depliant sparsi ovunque nella cittá,per pubblicizzarsi.
Fuori dall'edificio grigio c'era una massa di gente in attesa del proprio turno; genitori e alunni,nonni e nipoti,fratelli e sorelle.
In fila davanti alla reception si trovava l'unica ragazza apparentemente felice di trovarsi lí.
Accompagnata dalla madre,continuava a saltellare da un piede all'altro facendo ondeggiare i lunghi capelli rossi che superavano di gran lunga l'altezza delle spalle,per controllare quanto mancasse al suo turno.
Sua madre,una quarantenne alta e snella,cercava di calmarla trattenendola per un braccio,mentre con una mano sistemava il tailleur nero con fare nervoso.
-Potresti stare calma,Candelaria?- chiese per l'ennesima volta alla figlia,che non dava segno di volersi tranquillizzare almeno fino ad essersi iscritta.
Entrare in quell'istituto era il suo sogno da tanto tempo ormai,e ora era ad un passo dal compierlo.
-Mamma. Mi trovo nel college piú prestigioso della cittá,sto per iscrivermi,verró a vivere qui,studieró con i migliori professori di sempre. Come vuoi che faccia a stare calma?- disse la ragazza alzando notevolmente la voce e di conseguenza attirando gli sguardi delle persone dietro di lei.
-Lo so,ma questo non significa che tu debba dare spettacolo,questo lo sai perfettamente- rispose la donna lanciandole uno sguardo di disapprovazione.
Ma ormai Candelaria ne era abituata. Sua madre l'aveva fatta crescere con una quantitá di regole quasi sovrannaturale,sperando che un giorno la figlia sarebbe diventata un'eccellente donna d'affari,proprio come lei.
Ma non era questo che Candelaria voleva. Lei era curiosa,la incantavano la scienza e qualsiasi altra cosa che avesse a che fare con esperimenti e formule.
Non avrebbe mai potuto immaginare una vita rinchiusa in uno stupido ufficietto a stampare fatture e a rispondere gentilmente al telefono.
-Certo che lo so mamma- rispose annoiata sistemandosi gli occhiali dalla montatura nera. -Tra poco tocca a noi!- esclamó vedendo che un ragazzo,scortato da entrambi i genitori,abbandonava il suo posto davanti alla segretaria sbuffando.
-Mi chiedo perché la gente si iscriva a questo college,se poi non è felice di venirci!- sbottó la ragazza osservando l'andatura cascante del tipo,che stava aprendo la porta per uscire.
-Perché non tutti i genitori sono cosí aperti come me,e decidono di far frequentare una scuola ai figli nonostante loro non vogliano. Dovresti essermi grata per questo- le rispose sua madre scuotendole un braccio.
-O semplicemente per vivere fuori di casa una volta per tutte- sbuffó Candelaria spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
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The Paladins
FanfictionPARINGS: JORTINI-LODOGGERO-FALBA-MECHIANI-accenni DIELARI Cinque ragazzi vivono in un mondo parallelo,loro sono i paladini di Eraclyon,un altrove senza spazio e senza tempo,un grande nulla al centro dell'infinito. La loro missione é riuscire a salva...