Shut eye

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La sabbia gli schiaffeggiava il viso e il caldo, ormai stabilitosi tra i muscoli del ragazzo, non aveva intenzione di morire.

Gli occhi avevano già sofferto molte visioni, molte di loro sfocate e dall'aspetto invitante, una di queste era stata un'oasi mentre un'altra una carcassa ancora calda di un cammello.

La visione che adesso si mostrava a lui era una città.

Era piccola con a malapena una ventina di case, il suo cuore si chiuse nell'ennesima morsa, uccidendo anche l'ultimo briciolo di speranza che gli era rimasta.

Prima di aprire il vaso di Pandora e lasciarsi morire, si avvicinò a quella cittadina, sperando che almeno l'unica cosa che avrebbe visto prima di morire sarebbe stato qualcosa di familiare, ma falso.

Qualcuno urlò e lui sobbalzò.

Non aveva mai avuto illusioni uditive così forti, stava peggiorando.

«Charlie vieni qui!»

Sentì che qualcuno rispose e quel nome gli fece cedere le ginocchia. Era lo stesso di suo figlio.

Non doveva morire, questo s'era promesso, sarebbe tornato a casa, forse non tutto intero, ma ci sarebbe riuscito.

Si allontanò dalla cittadella, non volendo sprecare quelle poche energie rimastegli per andare verso un'ennesima visione.

Charlie, Charlie, Charlie, quella donna continuava a urlare per attirare l'attenzione di quel portatore di nostalgia.

Sembra la voce di Mia. Mi piacerebbe se fosse davvero lei.

Il suo cervello mostrava i suoi desideri, ne era consapevole, si sarebbe tagliato una gamba pur di sentire ancora quelle voci che prima di partire gli erano sembrate così fastidiose.

Un anno, era via da un anno e ancora sperava che Mia e Charlie e Lara lo stessero aspettando sull'uscio di casa.

Nonostante sia successo che lui rimanesse fuori per più di un anno, non aveva mai rischiato di essere preso dallo sceriffo.

Si grattò il collo, credendo d'avere il segno d'un cappio, inesistente.

Sospirò mentre la città si allontanava alle sue spalle.

Una ferrovia.

Il suo cervello era fritto, decisamente. Nessuno costruirebbe una dei binari in mezzo al nulla, poi si ricordò come funzionavano i treni e che non esistevano solo i porti di sbarco o di carico.

Le gambe cedettero e il cappello marrone mezzo impolverato gli arrivò davanti agli occhi.

Il respiro spezzato, i muscoli che si scioglievano così come i tendini, quella sensazione gli dava una enorme voglia di piangere, non poteva, era un uomo lui.

Gli uomini non piangono, solo le donne lo fanno, le donne aspettano i mariti a casa coi figli, sua madre glielo aveva detto tante volte e lui sperava con tutto il cuore che fosse vero.

Aveva conosciuto un uomo una volta, un certo Rhett Butler, un ottimo signore, abbastanza burbero e molto odiato dalla società. Se non avesse guadagnato tutti quei soldi non avrebbero aspettato due minuti prima di tagliargli la testa o sparargli. Lui gli aveva detto che in realtà le donne hanno la capacità di pensare e alcune di loro hanno anche della personalità, nascosta sotto a tutti quei pizzi e quelle maniere docili. Gli aveva detto che a volte tradivano i mariti e che non se ne pentivano.

Non c'aveva mai creduto, sua moglie, sebbene di pizzi e vestiti eleganti non ne avesse mai visti, non diceva mai niente, lo guardava e sorrideva, quel sorriso lo aveva fatto innamorare; lei non aveva un'opinione sul lavoro, a lei interessavano la casa, la famiglia e che suo marito stesse bene, com'era il dovere affidatogli.

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