Corsi giù per le scale del condominio con gli occhi offuscati dalle lacrime. Dietro di me sentivo i passi di Federico. "Bebe, Bebe, ti prego aspettami"
Aprii il portone d'ingresso e l'aria fredda di dicembre mi investì. Mi ero dimenticata la giacca. Quasi non mi accorsi di stare battendo i denti mentre camminavo il più velocemente possibile. La neve mi si incollava addosso.
Mi voltai e vidi Federico che avanzava verso di me "Vattene via, cazzo!" gridai.
Federico si fermò "No, tu devi ascoltarmi"
"Ma cosa non capisci del fatto che non ti voglio più nella mia vita?"
Federico fece un altro passo verso di me e io indietreggiai "Devi smetterla di escludere le persone dalla tua vita senza nemmeno provare ad ascoltare, cazzo"
A Fede scese una lacrima "Hai solo paura, paura di essere ferita e allora alla prima cosa sbagliata che qualcuno fa gli metti una croce sopra in modo che non possa più rifarlo. Io non me ne vado. Io busserò alla tua cazzo di porta finché non mi aprirai, chiamerò al tuo cazzo di telefono finché non mi risponderai e ti parlerò finché non mi ascolterai. Sono tuo fratello e non ti mollo. Quindi per risparmiare tempo ad entrambi ti consiglio di ascoltarmi ora"
Rimanemmo a fissarci per qualche istante. La neve cadeva tra di noi. Incrociai le braccia "Parla"
"Vieni più vicino, stai tremando per il freddo"
Rimasi ferma.
"Okay, va bene. Avevi ragione, dovevo prendere in mano la mia vita. Ho rifiutato lo stage e me ne sono andato di casa. Ora vuoi venire qui?"
Rimasi di nuovo ferma.
"Bebe... mi dispiace che mamma e papà abbiano sempre visto me come il figlio perfetto e non te che lo eri veramente. Io credo in te come donna, cazzo se ci credo. Vivi da sola, hai un lavoro e hai solo diciannove anni: spacchi, cazzo"
Mi morsi il labbro mentre lui si avvicinava a me e le lacrime mi scappavano sulle guance.
"Ti prego, Rebecca. Tu sei la mia famiglia"
Fefe sapeva di casa. Mi abbandonai tra le sue braccia.
Fefe aveva parcheggiato l'auto lì vicino. Ci sedemmo dentro, al caldo. Ero bagnata per la neve ma non mi importava. Mi raccontò di essersene andato di casa da qualche settimana. Da quando me ne ero andata io si era trovato un lavoretto in un bar e, quando era riuscito a mettere qualcosa da parte, aveva mollato lo stage e si era trasferito a vivere da un suo amico.
Aveva anche lasciato l'università. "Economia non faceva per me" disse mordendosi il labbro. Mi raccontò che da un mesetto aveva cominciato a fare il modello per una catena di abbigliamento. Non gli davano molti soldi ma aveva capito che più che stare davanti alla macchina fotografica gli sarebbe piaciuto stare dietro. Aveva cominciato un corso di fotografia da una settimana e stava pensando, a settembre, di iscriversi ad una scuola di moda.
Quando Fefe mi riaccompagnò a casa era ormai l'una. Feci finta di salire nell'appartamento che condividevo con Ele e Vero e, invece, rimasi sulle scale. Anche se era tardi decisi comunque che avrei provato a chiamare i miei genitori. In genere la cena di Natale a casa di mia nonna tirava sempre per le lunghe quindi con buona probabilità erano appena rientrati a casa. Chiamai prima mio padre. Segreteria telefonica. Chiamai mia madre: stessa cosa. Appoggiai le spalle al muro. Socchiusi gli occhi cercando di cacciare indietro il groppo alla gola. Attesi una ventina di minuti e provai a richiamare entrambi. Nulla di nuovo.
Avrei voluto lanciare il telefono dalle scale... che stupida che ero stata anche solo a pensare di chiamarli.
Risalii le scale fino al nostro appartamento. Dovevo avere un aspetto orribile. Ele, appena mi vide entrare, mi corse incontro e mi abbracciò stretta. Mi colse di sorpresa e rimasi rigida per qualche istante. Poi scoppiai a piangere. Ele e Vero erano anche loro la mia famiglia. Con loro potevo, con loro potevo anche essere debole.
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Perdere il cuore a Milano
ChickLitTre ragazze decidono di ricominciare da Milano, ognuna con le sue insicurezze, risentimenti e strascichi del passato. Riusciranno a capire il vero valore dell'amore e dell'amicizia? Riusciranno a trovare il loro posto nel mondo?