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All'età di sei anni, seduta sul muretto del cortile di quell'imponente edificio color mattone, non avevo ancora capito che quel ragazzino per il quale covavo una gigantesca cotta sarebbe poi diventato il mio migliore amico quasi quindici anni più tardi.
Lo osservavo di nascosto grazie alla capigliatura che mia mamma ci teneva tanto a farmi avere. Un orribile caschetto di capelli neri, abbellito da una frangetta liscia e dritta a coprirmi la fronte, arrivando quasi sugli occhi. Nonostante detestassi non avere i capelli lunghi e pari come tutte le mie compagne di classe, in momenti come quello ero felice di non dover aver a che fare con la riga in mezzo. Da occhi esterni probabilmente poteva sembrare che passassi decine di minuti ad osservarmi le scarpe, ma la verità è che per qualche strana legge fisica o chimica non riuscivo a staccare gli occhi da quel corpicino magro. Se ne stava a giocare a pallone o a qualunque gioco i suoi compagni gli proponessero ed i suoi capelli castani, della lunghezza perfetta, svolazzavano ovunque. Non si metteva mai al centro dell'attenzione rispetto agli altri e non lasciava mai vagare i suoi occhi, color cioccolato come i miei, verso qualcosa che fosse diverso dal suo gruppo di amici.
Sicuramente non avrei nemmeno voluto essere guardata perché sarei arrossita a dismisura e le mie mani avrebbero cominciato a sudare. Mi bastava avere la possibilità di vederlo e tutto il resto perdeva improvvisamente importanza. Per i maschi chiamare una femmina a giocare con loro a nascondino o prendi-scappa era impensabile ed io non volevo nemmeno mettere becco in questa loro situazione, ma ciò che avrebbe scalfito la mia autostima, se non fossi stata concentrata su di lui, sarebbe stato proprio il fatto che a pochi passi da me le mie compagne di classe si sfidavano ad una gara di ruote, verticali e spaccate, dove io non ero ritenuta idonea. Come in tutto il resto delle cose che facevano loro ovviamente. Tanto che a sei anni avevo già capito che quando mi chiamavano per stare con loro era soltanto per far vedere al mondo quanto fossero belle e buone a stare in mia presenza.
La realtà, però, era proprio questa, Drew Miller, classe '92 rappresentava lo stupido centro del mio stupido universo. Aveva cominciato forse ad esserlo il primissimo giorno di scuola primaria, quando gli alunni di quarta e quinta, per dare il benvenuto ai nuovi arrivati, dovevano preparare un cono pieno di sorprese e regalarlo. La coppia che era capitata a me era composta da un maschio di quarta, per l'appunto Drew ed una femmina di quinta, il cui nome credo fosse Jasmin.
Non lo so se furono i suoi occhi così normali, o quel sorrisino appena accennato a farmi capire che forse i maschi non erano così rivoltanti come avevo pensato durante la mia permanenza alla scuola dell'infanzia, ma da quel momento cominciarono due lunghi anni, dove la sua presenza era diventata fondamentale per il mio umore instabile e la mia poca voglia di frequentare la scuola. Non ero mai stata capricciosa o viziata, anche con i miei genitori non avevo mai esternato il fatto che non riuscissi a legare con nessuno. Infatti quando lui andò alle medie, quel posto che sembrava all'apparenza vivibile, divenne un vero e proprio inferno. Un incubo ad occhi aperti, quelli dove speri sempre di svegliarti e trovarti nella tua stanza al buio contento che tutto sia finito. Invece no, ti alzi, fingi di stare male per non andare a scuola, la mamma non ti crede e ti manda lo stesso e tu ti ritrovi in mezzo ad un gruppo di persone che nemmeno sopporti, ma ti imponi di essere socievole perché è giusto così.
Quando finalmente poi era arrivato il momento di andare alle medie, mi ero stupidamente convinta che tutto sarebbe cambiato, ma si sa che più ci si crea delle aspettative più la realtà poi apparirà cruda e miserabile come invece è.
Se solo l'avessi saputo prima non mi sarei lasciata scalfire da quei commenti meschini ed insensibili sul fatto che non avessi seno o che i ragazzi fossero attratti da un genere diverso di ragazza rispetto a me.
Proprio in quegli anni lì Drew Miller era stato rinchiuso in un angolo remoto della mia testa o forse del mio cuore. È proprio vero quando si dice "occhio non vede, cuore non duole". Il mio cuore aveva addirittura cominciato a battere per un ragazzo, Alex, che nulla aveva a che fare con quegli occhi scuri. Al contrario i suoi occhi color ghiaccio con qualche sfumatura verdastra ed i suoi capelli rossi mi avevano rapita e catapultata in un mondo parallelo, dove qualunque essere di sesso maschile all'infuori dei miei famigliari e di lui non esisteva.
Come ogni primo amore era stato travolgente e credevo fosse quello della vita, il classico "per sempre", ma credo avrei dovuto capire non fosse così proprio nel cuore della notte, quando con occhi trasognati e il cuore pieno di speranze, guardavo il profilo Facebook di Drew Miller nel desiderio che un giorno mi avrebbe notata come io notavo lui.

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