Capitolo 23

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Il Cinquecento Lire era la caffetteria storica di Moonlight. Situata in pieno centro, aveva visto i natali nei primi anni '60 quando una simpatica signora italiana, arrivata negli Stati Uniti da qualche anno, aveva deciso, insieme al marito, di mollare il lavoro in fabbrica, trasferirsi in quella cittadina di cui tanto aveva sentito parlare e fare della sua passione un lavoro. Celeste e Luigi Boeri erano arrivati in America, pieni di sogni e aspettative, nell'immediato dopoguerra. Erano fuggiti dalla povertà siciliana, senza soldi e col cuore colmo di tristezza, lasciando una famiglia numerosa e affiatata. Sposati da poco, sapevano che la Sicilia avrebbe offerto loro poco. Arrivati a New York, si erano da subito rimboccati le maniche, accettando qualsiasi lavoro capitasse loro a tiro. Erano giovani, colmi d'amore e col sogno americano vivido. Avevano deciso di aspettare un po', prima di allargare la famiglia. Avevano iniziato a mettere da subito i soldi da parte, non spendendo in stupidaggini. Ne tenevano pochi per mangiare e per pagare l'affitto di una bettola di periferia, un'unica stanza con dentro bagno, cucinino a gas e un materasso per terra. Per due anni, avevano preferito mangiare pane e cipolla, bere l'acqua del rubinetto, lavarsi a giorni alterni e non comprare indumenti, nonostante il freddo pungente dell'inverno newyorkese. Dopo i primi due anni, le cose erano iniziate a migliorare. Avevano entrambi imparato bene la lingua. Avevano entrambi trovato lavori stabili e ben più redditizi. Avevano mollato il monolocale per un appartamento leggermente più centrale, con ambienti divisi e un letto munito addirittura di gambe.

Avevano una vita soddisfacente. Lavori stabili, stipendi buoni e guadagnati onestamente. Avrebbero potuto mettere radici lì, nella Grande Mela. Ma New York non faceva per loro, e il tarlo di quel sogno custodito nel cuore di entrambi, non li faceva dormire sereni. Avevano messo da parte anche l'idea di famiglia, pur di realizzarlo. Così, messi insieme tutti i risparmi, erano arrivati a Moonlight una mattina di novembre. L'aria pungente li aveva fatti sussultare, ma non li aveva impauriti. Avevano comprato una casetta in centro, sopra un locale vuoto che sarebbe stato perfetto per l'idea che avevano: una pasticceria italiana.

I cittadini di Moonlight avevano accolto l'idea con grande entusiasmo, tanto che ben presto quella piccola pasticceria di quartiere, era diventata una caffetteria dove ritrovarsi, passare del tempo a leggere, studiare, o semplicemente stare insieme. Dopo quasi sessant'anni, la famiglia Boeri era ancora lì, a mandare avanti quell'attività tanto sognata. Non c'erano più Celeste e Luigi, ma la figlia Carlotta, avuta poco dopo aver comprato il locale, e i gemelli Mark e Phoebe, nati anni dopo e che avevano dato non pochi problemi ai genitori e alla sorella durante l'adolescenza.

I tre Boeri rimasti erano volti conosciuti e amati, in città, sempre sorridenti e circondati da quel buon odore di pasticceria artigianale che ormai era tipico di Moonlight.

Nonostante gli anni passati, il Cinquecento Lire rimaneva un luogo di ritrovo pomeridiano per tutti i ragazzi di Moonlight e Mina, entrandovi quel pomeriggio per il suo solito espresso alla vaniglia, non si stupì vedendo Micol seduta al tavolo all'angolo sommersa dai libri. Ordinò con un cenno del capo a Mark, che ormai conosceva perfettamente i gusti della ragazza, e raggiunse l'amica, sedendosi di fronte a lei senza aspettare nemmeno un invito.

«Come sono andate le prove?» chiese Micol senza distogliere lo sguardo dagli appunti di algebra. Prima o poi, quella materia l'avrebbe portata alla pazzia, ne era certa. Micol era più per le materie letterarie, avesse potuto avrebbe scelto di non studiare affatto matematica, fisica, chimica e tutto ciò che aveva a che fare con i numeri. Finì l'esercizio e chiuse stanca il libro, lanciando la penna sul tavolo in legno e sbuffando sonoramente. Mina sorrise appena, divertita dalla disperazione della ragazza.

«Così. Oggi avevo la mente altrove» ammise, ringraziando Mark per il caffè e porgendogli qualche dollaro.

«Non vai da Colin per il progetto?» chiese Micol, curiosa. La mora avvicinò la tazzina alle labbra, soffiando un po' per raffreddare la bevanda fumante, e scosse nervosamente il capo. La discussione con Andrew l'aveva innervosita, creandole un certo imbarazzo che, in quel momento, le impediva di affrontare Colin. Sapeva che il ragazzo non l'avrebbe attaccata, ma preferiva comunque aspettare l'indomani.

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