Calypso: le origini

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Avviso: questo capitolo non si trovava a questo punto della storia originalmente. É un capitolo "speciale" per le 5k views. Lo stile di scrittura non rispecchia quello del resto del libro ed il resto sarà perfettamente comprensibile anche se questo capitolo verrà saltato. Se volete andare direttamente alle recensioni, leggete il prossimo capitolo. Detto questo, buona lettura!

Calypso sedeva tranquilla su un dondolo nel piccolo portico della sua casetta nel mezzo di una piccola isola florida e fertile, godendosi il vento caldo che le stormiva il volto e il calmo rumore delle onde.

Non poteva volere di più dalla vita: viveva in un'isola paradisiaca, circondata dalla natura e dagli animali, con una spiaggia privata e una piccola casetta confortevol... ma chi voleva prendere in giro? Era una noia mortale. Certo, stare per conto proprio e rilassarsi era stato piacevole per i primi cento anni o giù di lì, ma dopo quattromila anni la solitudine iniziava a farsi sentire.

Ogni giornata uguale alla prima, mai nulla di diverso da fare, sempre le solite due verdure da mangiare, provare giornalmente a usare il telaio e fallire miseramente per inettitudine naturale.

Insomma, era giunta al limite della sopportazione. In fondo, non era mica colpa sua se era figlia di un titano. Si alzò e con molta calma si diresse verso il mare talmente limpido da potercisi specchiare.

Guardò con attenzione il suo viso rotondo, con gli occhi verdi e il naso a patata. Si soffermò sulle sopracciglia, troppo vicine tra loro e folte per i suoi gusti. Si toccò i mossi capelli castani, raccolti in una mezza coda. Diede anche uno sguardo al suo semplice peplo di lino bianco, che le cingeva perfettamente quel suo corpo basso e un po' troppo rotondo.

"Cosa darei per poter andarmene da questo posto..." pensò tra sé e sé continuando ad accarezzare la ciocca di capelli che le ricadeva sulla spalla.

Come se qualcuno le avesse letto nella mente, in quel momento sentì una voce in lontananza e vide una figura che planava più in là sulla spiaggia con le sue scarpe alate.

«Calipso, Calipso!» urlava l'uomo con tutto il fiato che aveva in corpo.

«Sono qua, razza deficiente! Ti sento!» urlò in risposta Calypso.

«Scusa, è che ho dimenticato gli occhiali a casa, ti avevo presa per un cespuglio» disse Ermes con un sorriso furbetto mentre atterrava con un leggero saltello sulla sabbia bianca.

«E comunque, non mi chiamo Calipso. Io sono Calypso, con la Y» disse la dea scocciata.

«Ah, quindi si pronuncia in modo diverso o...?»

«No no, si pronuncia uguale, perché?»

«Ma scusa, se ti stavo parlando a voce come è possibile che abbia sbagliato vocale, visto che si pronuncia allo stesso mod...»

«IO LO SO CHE TI STAVI SBAGLIANDO» lo interruppe sbottando Calypso «SI SBAGLIANO TUTTI. Solo perché ha fatto una comparsina in un poemuccio qualsiasi, sono tutti impazziti per mia sorella, e nessuno si ricorda mai di me! Insomma, siamo praticamente uguali. Lei è Calipso e io sono Calypso, lei vive sullisola di Ogigia e io su quella di TopOgigia...»

«Pffft» sputò Ermes mentre si metteva le mani davanti alla bocca cercando di non scoppiare a ridere.

«Senti, il nome dell'isola non è stato un problema per quattromila anni ALMENO!» lo guardò brusco la dea prima di ricominciare a parlare «stavo dicendo... lei è figlia di Atlante, e indovina un po'? Anche io lo sono! Però a lei ogni tanto spuntano dei figoni sulla spiaggia, e a me mai niente!»

E vissero per sempre sgrammaticati e contentiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora