6- Spazio personale.

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SETH

Aaron era la mia disgrazia da quando avevo dodici anni.

Lo avevo conosciuto all'interno di un orfanotrofio che mi aveva fatto da casa per sei mesi e da allora – forse proprio per le circostanze – non ero più riuscito a voltargli le spalle.

Ero in collera con me stesso per questa debolezza.

Avevo passato notti insonnie dentro a quelle mura, restavo rannicchiato in un angolo e tremavo per il freddo misto alla paura. Pregavo solo di poter tornare a casa mia il prima possibile.

Gli assistenti sociali sembravano godere nel tenermi in un luogo così agghiacciante.

Oltre ad Aaron avevo conosciuto un altro ragazzo, più grande, me lo ricordo perché mi era rimasto impresso il suo sguardo: vuoto e spento, sembrava avere il mondo sulle spalle eppure aveva all'incirca diciassette anni. Si chiamava Ethan Reed, era moro dagli occhi di un verde così intenso che quando ero piccolo mi domandavo se potessero essere umani.

Aveva il vizio di allontanare le persone, ma sembrava sempre pronto ad aiutare il prossimo, come se fosse più facile risolvere i problemi altrui che i propri. Così vedendomi spaventato, mi aveva rassicurato e pochi giorni dopo mi aveva fatto conoscere un altro ragazzino della mia stessa età: Aaron McFadden.

Era sempre pieno di energia e pronto a usare la fantasia pur di trovare nuovi giochi, in modo da non annoiarci. Aaron aveva vissuto una vita intera dentro l'orfanotrofio, al contrario di me che ero come un pesce fuor d'acqua.

Nelle mie notti peggiori, era pronto a inventare una storia per aiutarmi ad appisolarmi.

Quando sentivo la mancanza di casa e dei miei genitori, inventava nuovi modi per distrarmi.

Quando venivo preso di mira dagli altri bambini, specialmente i più grandi, si metteva in mezzo tirandomi fuori dai guai.

Era comico, che ora fosse proprio lui a trascinarmici dentro.

Lui mi aveva salvato, ora toccava a me. Si chiamava lealtà.

Mesi dopo, ci sentivamo legati come fratelli, infatti, anche una volta tornato a casa avevo continuato a incontrarlo.

Purtroppo però, più gli anni passavano, più il suo carattere subiva dei cambiamenti.

Era cresciuto cercando un modo per sopravvivere, prima dentro l'orfanotrofio e poi nella vita reale, quindi per questa ragione, all'inizio lo avevo scusato. Pensavo si trattasse solo di questione di tempo e che si sarebbe finalmente deciso a mettere la testa a posto, responsabilizzandosi.

Invece era accaduto il contrario: entrava in brutti giri, spacciava e scopava puttane come se possedesse i liquidi per farlo, perché sentiva di avere le spalle coperte da me.

Avrei dovuto mollare la presa tanti anni prima, così forse si sarebbe trovato nella situazione di decidere tra due opzioni: o crescere o farsi ammazzare.

Ma quale fratello lasciava che accadesse la seconda opzione?

Rispondo io: nessuno.

Come potevo voltargli le spalle, tornare a casa e sperare di non trovarlo ammazzato in qualche angolo della città? Io non avevo così tanto fegato da sfidare la sorte, così non mi restava altro che correre da lui. Proprio come avevo fatto appena ricevuta la chiamata.

Avevo liquidato per la seconda volta Eliza per assecondare il volere di Aaron. Lui era un problema mio e non volevo che nessuno si sentisse in dovere di addossarselo, pertanto non ne avevo fatto parola.

Arrivai al punto indicato dall'indirizzo e imprecando guardai l'orario sul telefono. Erano le quattro di mattina e da quanto ero stanco, stavo desiderando di stendermi sul letto già da due ore. Non avevo certo immaginato di dover sfrecciare fino all'altra parte della città, quella malfamata.

Mostrami l'amore (#2 Nightmares Series)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora