Respiri rochi, regolari, prigionieri delle cannule di un ventilatore infilate sin dentro la trachea. E occhi sigillati, abbandonato a sé stesso sul letto di una camera blu cobalto piena di macchinari che lo sorvegliano. Neanche lui li avessi chiesti, quei cazzo di macchinari.Desidererebbe proiettare il sangue alle dita, spremersi i muscoli di braccia e mani solo per accarezzare la morbidezza di quelle lenzuola amare. Per non parlare di alzarsi dal letto, e correre, e fuggire!
E da quanto si trova lì?
È dentro il sogno di qualcuno, lo stesso che magari lo tiene d'occhio dalla telecamera a circuito chiuso nell'angolo della parete di fronte... o sta semplicemente tirando le cuoia?
Vorrebbe tossire, anche se la tosse gli muore in gola.
Sente il bisbiglio della corrente nei cavi collegati ai macchinari, i bip regolari dell'elettrocardiogramma sul monitor a fianco.
Gli si apre una fessura tra le palpebre. Vede la scacchiera di pannelli del contro soffitto assalita da un continuo gioco di luci e ombre. Poi gli occhi schizzati verso un abisso che lo separa dall'unica porta della stanza; e accanto una vetrata scura, dove scorge una coppia che parlotta con una silhouette dal profilo così magro a ricordargli un foglio di carta.
Cinque minuti dopo la coppia smette di parlottare, si stringe a sé e se ne va. Lui ignora il come, ma percepisce del dolore in quella scena. Ha i nomi sulla punta della lingua, sente di avere un profondo legame con loro, ma cazzo, proprio non ricorda chi siano. Se solo potesse chiamarli!
Nell'agitazione non si è accorto che la terza silhouette è ancora lì, rivolta adesso verso la vetrata... per gustarsi lo spettacolo?
Al solo pensiero si inquieta ancora di più, prova a scuotersi ma scopre di essere prigioniero dentro un corpo di pietra!
Finalmente vede la silhouette andarsene. Sì è così angosciato che solo adesso si accorge di una cesta di fiori di loto e di un santino di una Madonna con la faccia di Elvis lasciati sul comodino affianco. Ok, ma perché gli sono così familiari?
"Mamma... Papà..." si dice in testa.
Una lacrima gli riga la guancia sinistra, un'altra la destra. Con il poco che gli concede il corpo si sforza di girare il capo di pochi centimetri, giusto il necessario per soffocare almeno un po' il dolore e osservare boccoli di luce filtrare dalla finestra. Peccato però che lo stiano deridendo, serpeggiandogli a pochi centimetri dalla punta delle dita dei piedi sotto la coperta, e ritirandosi, e ricominciando ad aggrapparglisi sul petto minuto dopo minuto, sempre più su — forse per strangolarlo!
Va bene così, tanto ormai...
Tanto ormai un cazzo: è inammissibile essere ridotto peggio di un tronco mozzato, anche perché vorrebbe tanto conoscerne il motivo!
Ma c'è qualcos'altro che dovrebbe preoccuparlo? Forse il fatto che nessuno sembri essersi accorto che un lumicino di coscienza si sia nascosto per tutto il tempo del ricovero, nella sua mente?
Lui è ciò che il dottore di turno definirebbe "il classico encefalogramma piatto" — come fosse la normalità! — senza sapere che quel briciolo di increspature lungo la linea del grafico sul monitor scompaiono appena chiunque entri nella camera, ma mica per un errore del sistema.
Ed ecco, ecco! Lo fulmina un ricordo, o meglio il sogno dal quale è fuggito pochi minuti prima. Un mondo sotterraneo pieno di cunicoli lugubri e soffocanti, e luridi, e roventi! Sì, proprio quelli! Dov'era stato prima carne, poi qualcos'altro di viscido, ripugnante...
La "cosa che sbuffava"... era diretta... dove? Una gola ancora più buia e profonda? Lei lo aveva ingannato, rapito, ingoiato... E poi dove lo aveva portato?