Parte 25 - Juan, pirata

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JUAN

Le labbra bruciano, la lingua cerca acqua, ma su di esse trova solo sale. La testa rimbomba. Un'esplosione, le fiamme, il legno di una nave che arde, le mie mani che si aggrappano a una trave, un'altra barca che si allontana placida, il mio cuore straziato. Poi tutto svanisce e queste immagini si perdono come se fossero state un sogno e non fossero mai esistite.

Apro di nuovo gli occhi. Non so quanto tempo sia passato dalle immagini che hanno affollato la mia testa l'ultima volta che ho aperto gli occhi. La luce del sole mi ferisce le iridi, sento la pelle calda, la sete che mi consuma. Ondeggio sulla trave di legno, circondato dall'azzurro del cielo e del mare. Tento di ricordare il mio nome e perché io sia qui in mezzo alla spuma delle onde marine, ma la memoria è vuota come questo cielo senza nubi.

Una voce, un veliero si avvicina. Chiudo di nuovo gli occhi. Quando li riapro un uomo è accanto a me, tampona con un fazzoletto imbevuto di acqua fresca la mia fronte e con l'altra mano mi incoraggia a bere da una scodella di legno.

«Cosa succede?», mormoro. Non riconosco il suono della mia voce, il mio accento è spagnolo, ma perché mi trovo in mezzo al mare?

«State calmo, avete bisogno di riposo. Non so quanto tempo siete stato là fuori, ma con queste temperature è un miracolo che siate vivo».

Sento una fitta al volto e un'altra al fianco destro, istintivamente porto lì la mano.

«Riposate», mi incoraggia quello che credo sia un medico.

Tento di farlo, ma gli occhi passano in rassegna la cabina, vi sono carte nautiche appese al muro, pezzi di stoffe pregiate, come se fossero trofei di una qualche strana battuta di caccia. Sulla testiera del letto tintinnano monili d'oro. Capisco dal lento ondeggiare che mi trovo su una nave.

Un altro uomo sulla soglia della cabina mi fissa. È alto e bruno, una cicatrice sulla fronte, le braccia incrociate sul petto, calzoni scuri, camicia color avorio e una vistosa cintura rossa. Il suo odore... è un alfa. E io? Per un momento temo per la mia incolumità, poi capisco: anche io sono alfa. Lo so e basta. E so che qualcuno mi ha strappato qualcosa che mi appartiene.

«Spogliatelo», dice l'uomo con la cicatrice.

Il medico corruga la fronte, anche lui è giovane, e mi domando se sia davvero esperto dell'arte di Esculapio. «Sarebbe il caso che lo lasciassimo in pace, Thai».

Thai, così si chiama quindi l'uomo sulla soglia della cabina, si limita a rivolgergli uno sguardo gelido. «Devo capire chi sia. Forse un nobile caduto dalla sua nave o forse...», fa un gesto evasivo con la mano, «ubbidisci e basta».

Questo Thai deve essere il capo e i suoi vestiti... mi ricordano qualcosa, ma cosa? Il mio flusso di pensieri si interrompe quando il medico comincia ad aprirmi la camicia ancora inzuppata. «Avremmo dovuto toglierla lo stesso», mi dice, come a giustificarsi.

Vengo denudato, mentre le membra mi fanno male a ogni movimento. Devo essere davvero caduto da una nave. Lo sguardo di Thai si fissa sul mio petto, un sorriso increspa le sue labbra.

«Ancora meglio di un nobile, in fondo quelli non li ho mai sopportati e il sentimento è reciproco».

Seguo la direzione del suo sguardo e abbasso il mio. Stringo le lenzuola in un pugno. Sul mio petto affiora un marchio impresso con il fuoco. Un serpente. Il cuore mi salta in gola. Ricordo cosa significa questo simbolo: è riservato ai traditori. Decisamente non sono un nobile, o forse sono un nobile ribelle. Thai preferisce la prima ipotesi.

«Deve essere accaduto qualcosa alla sua nave, forse lo trasferivano in qualche colonia penale dalla sua madre patria. Credo sia stata un'esplosione la causa di tutto». Indica la ferita sul mio fianco destro e quella sul mio viso.

«Datemi uno specchio», dico.

Thai sorride. «Quanta vanità». Nonostante le sue parole, fa cenno al medico di porgermi uno specchio che si trova sullo scrittoio.

Afferro avidamente lo specchio, sperando di scorgere nel mio volto un tratto, una sfumatura, qualcosa che mi ricordi quale sia il mio nome, da dove vengo e cosa mi è successo. Non sono pronto all'immagine che la superficie argentea riflette: ho i capelli bruni, gli occhi neri e profondi, le labbra ben disegnate, la pelle abbronzata, ma l'armonia si infrange sul lato destro del corpo. Su quella parte de viso si staglia una bruciatura. Abbasso lo specchio fino a osservare bene il marchio e poi l'altra ferita sul fianco destro.

«Migliorerà», mi rassicura il medico.

Non gli credo. Chiunque mi abbia amato in passato, non potrà volermi in questo stato. E la cosa peggiore di tutte è che il supplizio di vedere le mie ferite non mi ha restituito alcun ricordo. Tutto quello che posso immaginare è che sono un traditore e che vivevo su una delle isole dell'oceano, è qui infatti che viene usato quel marchio.

Crollo sul materasso, avvolto nella nebbia dell'incertezza.

«Prenditi cura di lui», sento Thai dire, «quando si rimetterà in forze ne avremo bisogno».

La dinastia (boyxboy omegaverse) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora