"Tu sei il mio capogiro e provo la vertigine di sentirmi vivo nella tua luminosità."
(Marlene Kuntz)
IVAvevo lo stomaco contratto come un nido di serpi, il loro veleno a strisciarmi nel sangue e rendermi elettrica.
Mi guardavo allo specchio serbandomi occhiate inquisitorie, la verità era che non mi piacevo per niente.
Me ne stavo rigida come un palo della luce a girarmi a destra e a sinistra, osservandomi da ogni angolazione. Ce ne fosse stata almeno una che mi piacesse.
Generalmente non mi curavo mai di guardarmi allo specchio, provavo per la mia immagine un naturale disinteresse. Eppure, quella sera... quella sera non ci riuscivo. Quella sera era l'opposto.
Quella sera il pensiero di lui in quella casa mi trapanava il cervello fino a farmi tremare le gambe.
Non volevo vederlo sorridere, sentirlo fare fusa di convenevoli, non volevo guardarlo. Non volevo avere niente a che fare con lui e con quella cena.
Incrociai i miei occhi, la piega contrariata a contornare due iridi color nocciola, il viso morbido incorniciato dai riccioli.
Sospirai come di mille polmoni, mi stirai il vestitino rosso sui fianchi. Era un tubino semplice, mi fasciava le poche curve e si chiudeva sulle scapole con due spalline finissime. Quando lo avevo visto in vetrina mi era piaciuto subito, ma se non fosse stato per papà non lo avrei mai neanche provato. Certi vestiti, semplicemente, non sono fatti per me.
Eppure quello... sfumava bene sulla mia pelle mulatta, aveva un'eleganza sobria e un non so che di... mio.Quando sentii rumore di porta e un vociare sommesso da sotto, capii che era arrivato il momento.
Un altro respiro e poi mi mossi.
Tirai via gli occhi dalla mia immagine e li puntai sul pavimento. «Dai, non essere codarda.» Annuii a me stessa e uscii dalla mia stanza, dimenticando come sempre di chiudere la porta.
Gli scalini sembravano più ostici del previsto, o forse ero semplicemente io che andavo a rallentatore perché c'era più voglia di risalirli che di scenderli.
Intanto, sentivo già sprazzi di voci sciorinare in corridoio, lo schiocco della serratura di casa che si chiudeva.
«...appendilo lì, Cecilia!»
«E il negozio?»
«Oggi ho chiuso prima! Ti pare?»
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Tu sei la mia legge di Keplero
Romance«Lo sai...» abbassò il viso e i suoi tratti raffinati mi piovvero disgraziatamente sulle pupille, «Stamane mi hanno portato i tuoi... ossequi.» Rimarcò a timbro basso quell'ultima parola, la spinse melliflua tra le labbra e io la sentii avvilupparmi...