"Clarke, Cadogan ha fallito il test. È morto".
Le parole di Raven mi riportarono alla cruda realtà. Una realtà fatta di morte, distruzione e sofferenza. Non riuscivo a non pensare alle parole di Bellamy. Aveva ragione. Per tutto questo tempo, aveva ragione e io non gli ho creduto.
"Ci sarà un'altro modo per prevenire questa catastrofe, giusto?"-dissi, atterrita.
"L'unico modo è entrare all'interno dell'anomalia generata dalla pietra e rifare il test".
L'intero gruppo mi guardò. Sapevamo con fermezza che il sacrificio di uno avrebbe significato la sopravvivenza dell'umanità. E io ero disposta a farlo. "Per tutta l'umanità", dopotutto.
"No -Madi scosse la testa, piangendo- non puoi farlo, Clarke".
L'abbracciai e le accarezzai il viso.
"Devo farlo. È l'unico modo per salvare tutti e per salvare te. Ci rivedremo ancora.
"Clarke..."
"No, Raven. Non puoi fermarmi. Ho già deciso. Lascio comunque a te il comando". L'abbracciai e le chiesi, sussurrando, di badare a Madi al posto mio. Lei annui, tra le lacrime.
Salutai gli altri con un rapido gesto. La fine del mondo non poteva certo aspettare che dicessi addio a tutti. La Terra mi aveva messa a dura prova svariate volte ma sono sempre riuscita a farla franca. Tuttavia, ero certa che quello fosse il giorno della resa dei conti. Era tempo di pagare per le sofferenze che avevo inflitto.
"Ci vediamo dall'altra parte"-dissi, prima di sparire completamente all'interno dell'anomalia. Queste parole mi ricordarono Monty e Jasper, gli unici che hanno provato a "fare meglio" e ad aver capito che il problema siamo sempre stati noi. Forse facendo questo ultimo sacrificio li avrei resi orgogliosi. Forse sarei riuscita a "fare meglio" come loro. Forse sarei riuscita a fare ammenda per ciò che ho fatto a Bellamy. Forse avrei trovato la pace, finalmente. Forse...
Chiusi gli occhi, ancora pieni di lacrime. Quando li apri, finalmente la vidi. L'Armageddon... La fine. L'aria era pesante e opprimente. Non riuscivo a respirare. Una nube rossa avvolgeva la terra, macchiata dal sangue dei caduti. Alcuni soldati giacevano in terra esamini. Altri ancora con le armi in mano, probabilmente vittoriosi, erano rimasti cristallizzati.Il colore azzurro delle figure impietrite contrastava con quello rosso sangue del cielo e della nube.
"Questa guerra non si può vincere -pensai- perfino i vincitori sono dei vinti".
Il silenzio regnava incontrastato. Lo spettacolo era terrificante. Sembrava la scena di qualche battaglia mitica tra eroi achei ed eroi troiani (proprio come le storie raccontate da Bellamy), ferma però nel tempo. Un quadro orrendo che non avrebbe fatto intendere chi avrebbe vinto e chi avrebbe perso.
Mi avvicinai, con cautela accanto a quelle figure, come se avessi il terrore di rompere quel silenzio assordante. Volevo ispezionarle da vicino ma mi risultava difficile identificare quei corpi. Una delle tante figure impietrite spiccava rispetto alle altre. Brandiva una spada e la puntava verso il nemico e la posa assunta, prima di morire, mi ricordava quella di un vero guerriero. Rimasi colpita. Mi avvicinai ancora di più. Potevo riuscire a intravedere i tratti del viso e il colore dei capelli. Ero riuscita a scorgere, sulle guance, il trucco nero. Mi sembrava familiare. Ero ormai arrivata a 20 cm di distanza dalla quella statua. Aguzzai quindi la vista e finalmente mi resi conto di chi fosse. Era Octavia. Era difficile identificarla, ma non era impossibile.
"Octavia..."-sussurrai, accarezzandole il viso freddo.
A quel punto si udii un tuono. Il silenzio si ruppe. Il cielo si squarciò e lasciava intravedere un fulmine bluastro.