5.
Per almeno due giorni, Maggie non prese parte alla vita de "La Maledetta".
Si alzava prima degli altri e tornava tardi, sfruttando ancora la presenza di Syd in città.
Quando incrociava i ragazzi in biblioteca evitava di parlarci; l'unico con cui non era offesa era Milo, Milo che l'aveva consolata, che ogni mattina le aveva sorriso e che l'aveva abbracciata.
Al rintocco del terzo giorno, Leo era stanco di sentirsi in colpa. La mattina seguente alla cena gli era passata la sbronza e ricordava a grandi linee ciò che era successo; non era offeso con Jo e Jo non era offeso con lui, il sonno aveva lavato ogni parola di troppo e avevano persino fatto colazione insieme.
Il silenzio inamovibile di Milo gli aveva fatto capire che qualcosa non andava. Per due giorni il francese aveva cercato in ogni modo di incrociare lo sguardo di Maggie, magari in biblioteca, ma lei aveva sempre trovato il modo di sfuggirgli.
Così quella mattina si alzò alle cinque e quaranta. Si stropicciò gli occhi, infilò una felpa, andò in cucina e mise su il caffè percependo le palpebre pesanti. Pur di incontrare Maggie si sarebbe svegliato a qualunque ora, avrebbe rinunciato al sonno.
Così sedette al tavolo, poggiò le braccia sul legno e poi vi nascose il viso. In pochi istanti, era di nuovo preda del sonno profondo.
"Leo. Leo. Leonard."
Il ragazzo sobbalzò dopo quelli che gli parvero cinque minuti, ma era in realtà un'ora. Il caffè si era bruciato e Maggie era davanti a lui con il viso struccato, fresco e serio.
"Perché dormi in cucina?" gli chiese, mettendo su dell'altro caffè.
Leo non le rispose. Si alzò dal tavolo, la prese per una mano, la convinse a voltarsi e la travolse con un possente abbraccio.
La strinse a lungo finché non la sentì corrispondere con le braccia esili.
"Scusami" le sussurrò baciandole la nuca di capelli arruffati "mi dispiace".
"Leo, lasciami andare" Maggie provò a fare la sostenuta.
"No"
"Non puoi abbracciarmi per sempre"
"Ti abbraccerò finché non ti sentirai meglio."
"Ma io sono offesa, non malata"
"Ti abbraccerò finché non mi avrai perdonato allora"
"E perché dovrei perdonarti? Sei stato molto antipatico, lo sai? Sembravi proprio un francese stereotipato" bofonchiò Maggie.
Leo si accigliò e pensò a fondo.
"Non devi perdonarmi per forza, ma ti prego, scusami" allora scosse il capo e disse, stringendola ancora e ancora, sormontandola con la sua imponente statura. Per abbracciarlo senza farlo piegare, Maggie si sarebbe dovuta issare su una sedia.
La ragazza cedette in un sorriso e lo allontanò con una leggera pacca sulla spalla.
"Va bene, pace fatta" gli sorrise. Bevvero il caffè insieme, ritrovando la loro amicizia che Leo aveva temuto di aver perso.
"'Giorno" Jo strascicò i calzini sul pavimento fino al salotto.
A lui, Maggie non rispose.
"C'è il caffè in caldo" lo informò il francese.
Jo prese la moka e la poggiò sul tavolo. Prese anche il pacchetto di Winston.
"Altro?" offrì agli amici gli ultimi gocci della bevanda. Maggie scosse il capo senza guardarlo. Allora, Jo prese due sigarette dal pacchetto e gliene porse una.
"Non la voglio" lei rispose con tono distaccato "e sono in ritardo." fece per alzarsi.
"Dove devi andare? Sono le sette e mezza" lo spagnolo s'incuriosì.
"Devo svegliare Milo e fare i bagagli"
"Fare i bagagli?" Leo strabuzzò gli occhi e prese la sigaretta che Jo aveva invece offerto alla ragazza "Per dove? Dove devi andare?"
Jo si massaggiò le tempie. Lui, della cena, ricordava tutto. E non gli sembrava di aver commesso granché: sapeva di averla ferita, questo gli doleva. Ma Jo, come chiedere scusa, non lo sapeva.
"A Oxford da Syd." lei tagliò corto.
"Per quanto?"
"Il tempo che mi servirà"
Leo avrebbe voluto continuare a tartassarla di domande, ma Jo gli diede una pacca sulla spalla e lo invitò a smetterla.
Milo anche si svegliò e, per il terzo giorno di fila, non parlò con i coinquilini.
"La accompagni tu?" gli domandò Jo guardandolo armeggiare con i bagagli di Maggie.
Lui si limitò ad annuire.
Leo scrutava tutto seduto al pianoforte: era così preoccupato che non si era neppure vestito.
Neanche Jo lo aveva ancora fatto: quando Maggie comparve dal corridoio, con il giacchetto di jeans imbottito, uno zuccotto di lana sui capelli ramati e i jeans strappati sul ginocchio, il ragazzo avrebbe voluto trovare un modo per fermarla. Ma quella mattina la sua sagacità e loquacità sembravano averlo abbandonato.
Le diede il pacchetto di sigarette che lei accettò senza ringraziare. La seguì per la tromba delle scale, nell'androne del palazzo, fino al portone. La scrutò caricare il bagagliaio con le valigie e parlottare con Milo.
Si schiarì la voce e, appoggiato allo stipite del portone, la chiamò.
Lei alzò lo sguardo verde e serio, vedendolo stringere nella mano la sciarpa che le piaceva tanto.
Lo raggiunse e la strattonò per prenderla, ma Jo la strinse nel pugno, fissandola negli occhi.
"Dai, non farlo davvero" le disse piegando un po' il capo e lasciando scivolare la sciarpa dalle dita.
"Ciao" rispose lei, dandogli le spalle.
Forse avrebbe dovuto dirle qualcos'altro, pensò Jo. Tipo, che doveva restare. Ci ripensò salendo le scale, ci ripensò trovando Leo seduto al piano a suonare ininterrottamente sempre lo stesso tasto.
Prese la moka e si chiuse in camera, lasciando il musicista nella sua crisi.
Afferrò il taccuino, lo aprì, prese una penna e scrisse.
6.
L'assenza di Maggie pesò su Milo molto più di quanto potesse pensare. In biblioteca, guardava la scala su cui era solita arrampicarsi e, trovandola vuota, sentiva un forte sentimento di tristezza.
"Starò fuori una decina di giorni" gli aveva detto la ragazza, salutandolo e salendo poi sul treno per raggiungere Oxford. Quella settimana era appena iniziata e sembrava già esser trascorsa una vita. In frigo non c'era nulla, l'unica musica se si ascoltava era quella delle note malinconiche di Leo, Jo viveva chiuso nella sua stanza e si faceva vivo solo per andare a lezione o per gli oneri da assistente di Letteratura Moderna. I tre ancora non si parlavano.
Milo non aveva alcuna intenzione di lasciar cadere la sua cocente ira: avevano avuto un pessimo gusto nel mettere a disagio Maggie e non aveva capito neanche il motivo per cui lo avevano fatto.
Un pomeriggio, dopo aver mangiato in solitudine il suo panino sulle scale della biblioteca, sedette al solito tavolo e si rallegrò di non trovarvi i coinquilini, sparsi per gli altri banchi.
Estrasse i libri dallo zaino e si passò una mano sulle guance ispide. Aveva scordato di rasarsi; non c'era più Maggie a ricordarglielo.
Nascose le dita nelle maniche del cardigan azzurro e sfogliò il libro fino al capitolo evidenziato di giallo.
Una mano sulla spalla lo costrinse ad alzare lo sguardo.
"Ciao" gli disse Jacqueline "qualche giorno fa ho trovato questo. È tuo"
Gli porse il taccuino. Milo sgranò gli occhi grigi e ne sfiorò la copertina rigida.
"Grazie, credevo di averlo smarrito" balbettò, constatando per l'ennesima volta il meraviglioso colore che avevano i capelli della ragazza. Lei sorrise e fece per sedersi, come al solito, al banco davanti.
"Sono solo oggi" lui disse prima che potesse allontanarsi.
La ragazza si voltò e accettò il suo tacito invito.
"Sei bravo" gli sussurrò poi, indicando il taccuino.
Milo sbiancò e la guardò accigliato.
"Lo hai aperto? Non dovevi aprirlo" mormorò agitato, diventando ora paonazzo. Lei si morse un labbro e gli prese una mano.
"Scusami, non avrei dovuto lo so. Ma non ho resistito: mi dispiace."
Milo ascoltò la sua voce dolce senza riuscire a stringerle la mano, come invece lei stava facendo. Jacqueline vestiva in modo particolare: aveva un vestito rosso scampanato e delle calze a righe bianche e nere; indossava le scarpe da ginnastica slacciate e fermava i capelli con una matita, alla rinfusa.
La vedeva parlare, davanti a lui, e leggeva nei suoi occhi corvini un sincero senso di colpa ma per qualche motivo era troppo preso ad osservare le sue labbra rosee per sentire cosa dicesse. Milo non lo sapeva, ma aveva una seria aria da ebete sul volto. Per questo, d'un tratto, Jacqueline rise.
"Mi stai ascoltando?" gli domandò.
"Sì? Sì. Certo" lui scosse il capo per ritrovare la concentrazione.
"Quindi non sei più arrabbiato?"
"No, io...è che mi vergogno"
"Non dovresti, sei bravissimo. Lo dico sul serio: io studio arte, sai, un po' ci capisco."
Jacqueline gli spostò un ciuffo di capelli arruffati dalla fronte e Milo arrossì.
"Sei l'unica a sapere che disegno" le confessò l'italiano.
"Dovrebbero saperlo in molti, perché si perdono un grande artista"
"Grazie"
"Di cosa? Sto dicendo la verità"
Poi la ragazza abbassò lo sguardo e accavallò le gambe.
"Io sono Jackie, comunque" si presentò.
"Milo"
"Lo so, c'è scritto sul taccuino"
"Giusto"
"Ti va un caffè, Milo?"
"Oggi? Non posso. È il mio turno per i piatti e per lavare il pavimento, magari..."
"Quando vuoi, mi trovi qui" rispose dolcemente Jacqueline, prendendo i suoi libri e frugando nell'astuccio.
Milo notò che la ragazza evidenziava solo di rosa.
7.
"Senti, mi spieghi perché sei così testardo?" gli sbraitò dietro Leo, piegato e disperato sul pianoforte.
Jo si accese una sigaretta e continuò a camminare avanti e indietro per il salotto.
"Non sono testardo, ti stai facendo solo tanti sogni!" replicò.
"Non dirmi stronzate. Lo so che su quel taccuino non scrivi liste della spesa"
"Perché, lo hai mai letto?"
"No, ma voglio sperarlo!"
"Speri male. Non avrai il mio taccuino e non ti scriverò il testo per una canzone."
"Avevi detto che ci avresti pensato" latrò il francese.
"Avevo detto che ci avrei pensato se tu ti fossi messo a dieta. Non mi sembri affatto a dieta!" Jo indicò il cartone di pizza sopra al pianoforte.
"Non ti capisco. Tu scrivi, io compongo, potremmo diventare famosi!"
"Certo, nel mondo dei sogni" Jo si lasciò cadere sul divano "e poi io non scrivo."
"Sei antipatico" mormorò l'amico.
"E tu sei insistente"
Soddisfatti di aver discusso anche quel pomeriggio, rimasero in silenzio. Leo abbandonò l'idea di poter comporre e prese la chitarra, sedendo accanto all'amico sul divano e accendendosi una sigaretta.
"Dici che abbiamo esagerato con Maggie?" parlò fissando lo schermo nero della televisione.
Jo scrollò le spalle.
"Forse. Ma io ho lasciato Colette"
"Era l'ora. È davvero insopportabile"
Jo annuì. "Credevo che portarla a letto mi avrebbe fatto sentire meglio"
"Invece no?"
Lo spagnolo arricciò il naso.
"Non è quella giusta, ecco."
"Ora mi capisci come mi sento a cercare Suzanne?" sospirò Leo, strimpellando una canzone di Bob Dylan.
Jo non rispose e accese la televisione. Sul primo canale, trasmettevano le immagini di una ragazza bionda e di un ragazzo terribilmente sciatto e magro.
"Chi sono?" chiese Leo grattandosi la barba.
"Kurt Cobain e Courtney Love. Si sono sposati, a quanto pare" Jo ascoltò il servizio del telegiornale.
"E chi sarebbe lui?"
"Il cantante dei Nirvana"
Leo sbottò in un'imprecazione nella sua lingua, e l'altro lo guardò inarcando le sopracciglia.
"Ti rendi conto? Persino quello ha trovato l'amore, e io lo sto ancora cercando" si spiegò allora.
"Più che l'amore, secondo me ha trovato l'eroina" sghignazzò Jo.
"Dici che se fossi grunge troverei Suzanne?"
"Tu grunge?" lo spagnolo scoppiò a ridere "se vuoi posso romperti i jeans, tingerti di biondo, regalarti la mia maglietta a righe, ma per la droga ci devi pensare tu".
"Va bene, non ci riuscirei mai a indossare la tua maglietta a righe"
Ridacchiarono entrambi e cambiarono canale. Senza Maggie, si annoiavano a morte.
"Speriamo torni presto" pensò Leo, riflettendo su quanto le mancasse quello scricciolo e i suoi biscotti bruciati.
8.
Jo aveva deciso di farsi un bagno caldo. Aveva preso lo stereo portatile e la cassetta del Greatest Hits di Simon e Garfunkel. Aveva riempito la vasca, studiato con cipiglio i tanti bagnoschiuma impilati uno accanto all'altro e scelto di svuotare totalmente quello alla fragola.
Osservando la schiuma crescere lentamente si era spogliato e calato nell'acqua bollente rischiando di bruciarsi. Aveva premuto il tasto play sullo stereo, alzato il volume, acceso una sigaretta e scrutato interdetto le quattro paperelle di gomma che erano a bordo vasca. Erano di quattro colori diversi: una gialla, una blu, una verde e una rosa.
Le prese e le lasciò galleggiare nella schiuma, che presto lo ricoprì totalmente lasciando visibile solo il collo e la testa. Il vapore aveva appannato persino lo specchio e lui socchiuse gli occhi, liberandosi della spossatezza della pioggia torrenziale che lo aveva travolto di ritorno dal lavoro.
"Jo!" la porta si spalancò e Milo irruppe nel bagno, muovendo le mani per farsi strada nella cortina di vapore e fumo che riempiva la stanza. Persino i suoi occhiali si erano appannati e quindi camminava a tentoni.
"Ma che fai! Sono nudo!" stridette Jo.
"Non mi importa, ho bisogno di te" l'altro rispose sedendosi sulla tavoletta del gabinetto e agitando le gambe.
Guardò lo spagnolo con la coda dell'occhio e constatò che di lui si vedeva solo la testa.
"Non eri arrabbiato con me?" rimbeccò questo con sottigliezza.
Milo lo aveva scordato. Era talmente nervoso che aveva persino scordato di studiare, quel pomeriggio.
"Una ragazza mi ha chiesto di uscire, stasera" gli disse tutto d'un fiato.
Jo sgranò gli occhi nocciola. "Cosa?" gridò esaltato.
"Non urlare, ti prego, io..."
"Hai un appuntamento?"
"Si ma..."
"Hai un appuntamento?" irruppe nel bagno anche Leo, appena ritornato dalle lezioni e ancora bardato di sciarpa e cappello.
"Accomodati pure, io sono solamente nudo" osservò Jo mentre il francese sedeva sul tappetino a gambe incrociate.
"Chi è questa ragazza?" Leo chiese curioso e sorridente.
"Si chiama Jackie, cioè Jacqueline."
"Ed è carina?"
Milo arrossì, Jo si sciolse in una smorfia maliziosa.
"È carina" asserì ammiccando verso Leo.
"Che faccio?" l'italiano provò a spannare le sue lenti, senza le quali non vedeva quasi nulla.
"Che domande, ti vesti bene e la porti a cena fuori"
"Ma io non so fare la corte a una ragazza!"
"Puoi sempre adottare la mia tecnica" rifletté lo spagnolo nel fumo della Winston. Leo prese una sigaretta dal pacchetto e la accese, poggiando la schiena alla vasca.
"Cioè?"
"Appena si distrae, la baci"
"Sei matto?" Milo divenne paonazzo "non so neanche se mi piace!"
"Potresti scoprire però se ti piace baciarla, che è molto importante." commentò Leo, ciccando nella schiuma di sapone.
"Certo, cicca nell'acqua dove mi sto lavando" gli soffiò Jo. Leo lo squadrò senza saper come difendersi e poi allungò gli occhi onice sulle paperelle di gomma.
"Perché fai il bagno con quelle paperelle?" gli domandò piegando il viso.
"Volevo scoprire se avevano uno scopo nel mondo."
"E lo hanno?"
"No, suppongo servano a non farti sentire solo mentre ti rilassi. Ma io non mi rilasso, perché appena ci provo irrompono i miei coinquilini e non si preoccupano se sono nudo."
Leo scrollò le spalle e tornò a guardare Milo, che ondulava il busto avanti e indietro in piena crisi di panico.
Jo gli lanciò addosso sigarette e accendino, "piantala, sembri autistico" gli disse, e Milo estrasse una sigaretta e la accese con le mani tremanti.
Leo lo scrutò dolcemente e si alzò.
"Dai, ti presto una delle mie camicie, così farai bella figura stasera" gli mormorò dandogli una pacca sulla spalla.
"Non puoi, gli stanno tutte enormi" obiettò Jo. Il francese si imbronciò.
"Allora gli presterò una delle tue"
"Non puoi" Jo scosse il capo e lanciò la cicca nel lavabo.
"Perché?"
"Perché sono mie!"
Leo sfogò il fastidio in un respiro profondo e, con un'altra pacca, invitò Milo a seguirlo.
"Ti prendo una delle sue camicie" gli sussurrò, noncurante di quanto lo spagnolo avesse appena detto. Milo annuì e lo seguì mordicchiandosi le unghie. Quando Jo rimase solo, prese nella mano la paperella rosa e canticchiò sulla melodia di Mrs Robinson che stava suonando nello stereo.
"Va bene, prendete una delle mie camicie!" gridò ai coinquilini, già davanti al suo armadio con le mani sui fianchi e gli occhi attenti tra gli scaffali.
STAI LEGGENDO
La Maledetta
Storie d'amoreÈ il 1991, Jo è di pessimo umore, i suoi coinquilini, invece, non fanno altro che ridere; una storia di amicizia e amore tra i lampioni di Cambridge, una storia di vita.