Il vuoto. Quella materia incomprensibile, corporea ed estranea contemporaneamente; un silenzio assordante, una valle d'oblio. Il vuoto fa paura a tutti: sconosciuto, mendace, talvolta maligno; eppure a volte il vuoto lo desideri, lo brami, lo pretendi; vorresti che il vuoto ti inghiottisse, senza lasciare tracce di te e del tuo vissuto.Neanche la radio avrebbe colmato il vuoto che sentivo dentro: avrei dovuto essere felice, di riuscire finalmente a parlarne con qualcuno, di sentire che qualcuno ne valesse la pena; e invece, l'unica cosa che riuscivo a fare era rimuginare, provare rimorso, ripensare, come se già ciò che avrei detto a breve non mi provocasse abbastanza pensieri. Harry mi aveva proposto di lasciare la macchina fuori dal suo locale, di salire in moto insieme, nell'ennesimo gesto di solidarietà che mi aveva rivolto, ma io, dal canto mio, avevo declinato, desiderando ancora qualche minuto di strada per poter riordinare i pensieri, così violenti e iracondi ora che sapevano di poter uscire dalla mia testa e abbattersi su qualcun altro.
Il complesso di Harry, che di mattina mi era sempre parso colorato e amichevole, ora mi parevo cupo e tetro. Anche il cielo sembrava volermi soffocare, e se non avessi avuto anni di psicanalisi alle spalle, nascosta ai miei genitori, sicuramente non avrei retto il peso della mia materia grigia.
Aprì in silenzio il portone principale, invitandomi ad entrarvici, mentre io stringevo le braccia intorno a me stessa, in una morsa quasi violenta, e scansavo il minimo contatto con le sue mani, braccia, corpo, entrando nell'ascensore. Condividemmo per quei pochi minuti di salita, aria d'attesa e di silenzi incompiuti, aria di paura e di speranza, un'aria incerta, strana, non nostra. Harry lo vedeva, eppure non parlava; sapevo, perché doveva essere così, che in cuor suo stesse piano realizzando il fatto che ciò che gli avrei detto avrebbe cambiato qualcosa, io dal canto mio ero consapevole che l'avrebbe stravolto.
Quando arrivammo al suo appartamento, non mi sentii a casa. Mi sembrava di rientrare nell'ennesimo studio di qualche strizzacervelli, pronto a nutrirsi del mio vissuto per farne un nuovo caso di studio da esibire, come un trofeo, ai colleghi. Mentre Harry si liberava del casco e di tutto ciò che gli fosse d'ingombro, io rimasi ferma, nella stessa posizione, a guardarmi attorno, come fossi una mina vagante consapevole d'essere pronta ad esplodere.
"Ellie, è sempre la solita casa, non servono convenevoli" parlò per la prima volta dopo un tempo che era sembrato infinito. Parlò sarebbe un'iperbole, sussurrò, accarezzando il mio nome con le labbra, come a cercare di crearmi una bolla di calda sicurezza. Annuii fra me e me, mentre mi liberavo della borsa e forse qualcos'altro, appoggiando le mani al retro dei jeans, aspettando ulteriori indicazioni da lui.
"Vuoi qualcosa da bere?" mi chiese, mentre apriva il frigorifero e io scuotevo, silenziosa la testa "o da mangiare, da quanto tempo non mangi Ellie?" mi rimproverò, ma sempre troppo gentilmente per essere davvero un rimprovero.
"Sono apposto, Harry, grazie" parlai con la voce roca di chi non usa le corde vocali da un po', rassicurando lui, ma soprattutto me "possiamo metterci sul divano, ti va?" accennai col dito dietro di me, nell'unico slancio di coraggio che sarei riuscita ad avere quella notte. Acconsentì, accennando un sorriso gentile.
Quando mi sedetti, sprofondare in quel divano e quei cuscini fu la prima boccata d'aria della serata, come se per chissà quale malato meccanismo mentale, sentirmi fisicamente oppressa da qualcosa mi liberasse dalla mia oppressione mentale. Appoggiai il gomito destro allo schienale, girando appena il corpo verso quello di Harry, alla mia destra, mettendo un cuscino sulle gambe, semi incrociate. Quasi sorrisi pensando che quella era la stessa posizione che avevo la prima volta che ero stata lì: che atmosfera diversa, quante esperienze nel mentre.
"Sappi che ho tutto il tempo di cui hai bisogno, e che puoi fidarti" mi disse, vedendomi abbandonarmi ai miei pensieri, fissando il cuscino. Per assicurarsi che credessi alle sue parole, abbassò leggermente il suo capo, affinché i miei sguardi assenti potessero incontrare dopo troppo tempo i suoi occhi sicuri.
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CANTHARIDE- [H.S. AU]
Fiksi Penggemar"afrodiṡìaco" , agg. e s. m. [dal gr. ἀϕροδισιακός «sessuale», der. di ᾿Αϕροδίτη «Afrodite», la divinità greca dell'amore, corrispondente a Venere della mitologia romana] (pl. m. -ci). - Che eccita o aumenta il desiderio e il piacere sessuale. Ell...