1.
Maggie aveva il treno per Cambridge prenotato per il tre del mese.
Sarebbe dovuta ripartire insieme a Syd, e lui si sarebbe fermato un paio di giorni sperando che l'aria ne "La Maledetta" si fosse tranquillizzata.
Quelli erano i piani, ma le cose andarono diversamente.
I primi giorni di convivenza, Syd e Maggie li trascorsero facendo l'amore e passeggiando per le stradine della città, vivendo a pieno il loro amore fresco e divertendosi a baciarsi in ogni luogo e situazione. Ma con il passare delle ore, Syd non le sembrava lo stesso di sempre. Sotto i lampioni di Oxford, nei pub, con gli amici della facoltà o della squadra, il ragazzo aveva un atteggiamento presuntuoso e talvolta insolente; la presentava a tutti come "la sua donna", senza neanche dire il suo nome. Maggie si apprestava sempre a specificarlo ma molto spesso agli amici non importava saperlo. Non le chiedevano della sua vita, di cosa si occupasse, si limitavano a guardarla dalla testa ai piedi e a complimentarsi con Syd della sua bellezza. Lui adorava baciarla in pubblico e stringerle il braccio intorno alla vita.
Maggie avrebbe preferito trascorrere molte sere nella tranquillità dell'appartamento in cui stavano convivendo, ma Syd era un amante dei pub e della birra alla spina, delle partite trasmesse sui proiettori e del chiacchiericcio con gli amici. Amici sempre ben vestiti, ben pettinati, molto spesso di bell'aspetto. Amici impeccabili che le ricordavano l'irreprensibilità della sua famiglia e di suo padre.
L'ultima sera, quella del due marzo, si trovavano in un pub chiamato LaTouche. Syd era l'uomo dei sogni, protettivo e premuroso, con il suo limpido sorriso e la camicia bianca nei pantaloni.
"Quindi tu sei la ragazza di Syd?" un ragazzo si era avvicinato a Maggie che, con le gambe accavallate su uno sgabello, perdeva lo sguardo nel fondo del bicchiere di whiskey. Le faceva schifo il whiskey, le mancava il vino bianco che comprava Milo, il vino rosso che sbagliava sempre a mettere in frigo.
Era l'ennesima volta che si sentiva chiamare così. La ragazza di Syd. Filosoficamente, Milo avrebbe detto che stava subendo una materializzazione della sua persona, stava diventando in poche parole un oggetto.
"No, io sono Maggie" gli aveva sbottato, scendendo dallo sgabello e chiedendo al barista dove si trovasse un telefono. Lui glielo aveva indicato appeso alla parete, quella accanto ai bagni.
"Hai un gettone?" la ragazza aveva chiesto a Syd, che l'aveva guardata confuso e le aveva porso la moneta.
"Tutto bene?" le aveva domandato poi.
"Sì"
Maggie aveva camminato spedita verso il telefono e composto il numero che sapeva a memoria. Era mezzanotte; una voce assonnata le aveva risposto e lei era arrossita. Aveva stretto le mani intorno alla cornetta e aveva taciuto.
"Pronto? Diablo, chi rompe a quest'ora?" la voce scocciata di Jo aveva gracchiato.
"Che ci fai ancora sveglio?" lei aveva trovato il coraggio di parlare e il ragazzo era stato zitto qualche attimo.
"Stavo studiando. Perché chiami? Stai bene? Quando torni?"
"Non fare così, sembri Leo"
"Tutta questa convivenza mi sta trasformando in lui."
Maggie aveva sorriso e poggiato la schiena al muro.
"I ragazzi di Oxford sono tutti uguali, lo sapevi? Portano gli stessi maglioni, hanno la stessa voce, sono sempre pettinati."
"E tu odi le persone pettinate"
"Appunto" Maggie aveva parlato dolcemente "torno domani nel pomeriggio"
Lei non poteva saperlo ma Jo era balzato su sé stesso e aveva esultato a grandi gesti. E Jo, dal canto suo, non poteva sapere che Leo si era svegliato e lo stava osservando agitarsi alle sue spalle.
Quando Maggie aveva attaccato, aveva preso la borsetta, salutato Syd con un bacio sulla guancia e gli aveva detto che era stanca, mera scusa per poter tornare nell'appartamento e fumare una sigaretta in solitudine. Lui era rientrato solo mezz'ora dopo, sentendosi in colpa per non averla accompagnata: avevano fatto l'amore e Maggie si era addormentata su un lato, un po' distante dal corpo del ragazzo. La mattina dopo si svegliò presto, fece le valigie e si ritrovò a pensare. Le sarebbe piaciuto chiedere a Milo se, filosoficamente, era possibile addormentarsi innamorati e svegliarsi disillusi, distaccati.
Syd la accompagnò alla stazione dei treni, convinto di seguirla verso Cambridge. Ma non appena arrivò il suo vagone, Maggie si voltò e poggiò una mano sul suo petto.
"Forse è meglio se vado solo io" gli disse, guardandolo con occhi grandi e sinceri "abbiamo corso un po'. Stare lontani qualche giorno ci farà bene".
Syd non trovò nulla da dirle o da fare, così le prese il viso tra le mani e la baciò.
"Ho fatto qualcosa di male?" le chiese poi aiutandola con i bagagli.
"No, non hai fatto niente di male" rispose lei, stampandogli un bacio sulla guancia. Forse, proprio quello era il punto.
2.
Il libro di ricette francesi che Leo aveva comprato alla coinquilina si rivelò molto utile, la mattina del tre marzo.
Il francese e lo spagnolo si svegliarono presto, scossero il corpo addormentato di Milo e gli affidarono una lunga lista della spesa e il portafoglio di Jo.
"Diamo un banchetto?" mormorò Milo grattandosi i capelli e leggendo tutti gli alimenti.
"Tu comprali e basta" lo rimbeccò Jo "a che ora arriva Maggie?"
"Vado a prenderla alle tre"
"Perfetto" Leo si sfregò le mani e aprì il ricettario "allora abbiamo tutto il tempo".
Leo si era ricordato che, l'ultima volta, aveva bruciato una torta e che l'amica se l'era presa terribilmente; il piano era quello di farsi perdonare e renderla felice di tornare a casa.
Così, una volta che Milo tornò dalla spesa ricolmo di buste e con la punta del naso arrossata dal freddo, Jo si legò il grembiule intorno al busto e intimò il francese a fare lo stesso.
"Sai dove si trova Doctor Music?" Leo afferrò Milo per la manica del maglione nero, prima che questo potesse buttarsi in una doccia calda.
"Il negozio di dischi?"
"Sì, quell all'angolo con il Cheap Pub"
Milo annuì.
"Bene, devi andare a ritirare una cosa"
"Potevi dirmelo prima, così non avrei fatto avanti e indietro..."
"Eh, l'ho scordato" tagliò corto Leo "Il tipo alla cassa ha un pacchetto da parte"
"Cos'è?" s'informò l'italiano, che non aveva ancora preso un caffè e brancolava nel sonno.
"Un completino intimo in pizzo" asserì Jo, rompendo le uova.
"Un completo intimo?" ripeté sorpreso il ragazzo dagli occhi grigi.
"Milo, è un negozio di dischi: di cosa vuoi che si tratti?" sospirò Leo, mettendogli un braccio intorno alla spalla e accompagnandolo verso la porta.
Quando il ragazzo fu di nuovo fuori di casa, Jo e Leo si guardarono scuotendo il capo.
Il secondo si accese una sigaretta e premette un tasto del pianoforte. Jo si voltò e, con le mani sporche di impasto, lo richiamò con un fischio.
"Tarte tatine, soufflé al cioccolato e Madeleines non si cuociono al ritmo di Bach, lo sai?"
Leo annuì e raggiunse il piano cottura. Jo gli passò il mestolo di legno, una tavoletta di cioccolata fondente, un pentolino e del burro.
"Fondi il cioccolato e, ti prego, evita di mangiarlo tutto. Ci serve per il soufflé" lo ammonì, accendendosi una sigaretta e facendo attenzione a non ciccare nell'impasto.
Maggie scese dal treno imbacuccata nel suo cappottino rosso. Aveva le guance dello stesso colore e tremava nei jeans strappati; quando intravide nella folla il viso di Milo, gli corse incontro ben prima che lui potesse vedere lei.
"Mi sei mancato" gli sussurrò, stringendo le braccia al suo collo e nascondendo il viso nella sua sciarpa.
Milo arrossì e la abbracciò. "Anche tu, non sai quanto!"
Non si erano visti per dieci giorni, eppure sembrava passata una vita. Maggie non poté non constatare che l'amico aveva qualcosa di differente nello sguardo grigio; mentre guidava verso casa, appariva cresciuto.
Parcheggiarono sotto La Maledetta e Milo si accese una sigaretta appena spense il motore.
"Ho incontrato una ragazza" confessò a Maggie, guardando la cenere bruciare "e...siamo usciti insieme. Credo mi piaccia"
"È Jacqueline?"
"Come fai a saperlo?"
Maggie sorrise e gli stampò un bacio sulla guancia.
"Io so sempre tutto. Andiamo? Sto surgelando"
Milo avrebbe voluto raccontarle che a Jacqueline interessavano i suoi discorsi filosofici e che lui, al ristorante, le aveva fatto un ritratto su un tovagliolo, ma dato che Maggie sapeva già tutto pensò che forse sapesse anche quello. Quindi imbracciò le valigie e salirono con fatica le scale per l'appartamento.
Maggie si accigliò, trovando la porta socchiusa e lo zerbino pulito; la aprì con una leggera spinta e fu travolta da un profumo idilliaco e un sommesso chiacchiericcio.
Fece segno a Milo di tacere, poggiando un dito sulle labbra, e restò all'entrata tendendo l'orecchio alla conversazione.
"Speriamo non si senta il sapore della cenere nel soufflé" mormorava Leo, e quel giorno il suo accento francese era molto marcato.
"Parli del soufflé senza cioccolato?" gli rispondeva scocciato Jo.
"Ne ho assaggiato solo un cucchiaino"
"Ti ho trovato sporco di cioccolata almeno cinque volte. Diventerai obeso e Suzanne non ti vorrà mai"
"Devi sempre rovinare tutto?"
"Sei tu che hai rovinato il mio soufflé!"
"Sei tu che ci hai ciccato dentro!"
Milo, notando l'espressione intenerita della ragazza, entrò nel salotto e richiamò gli amici con un colpo di tosse. Lei lo seguì e squadrò i due con le mani nelle tasche dei pantaloni. Leo e Jo lasciarono cadere le stecche del biliardo sul tavolo e sorrisero. Avevano la farina ovunque, sui maglioni, sui jeans e anche un po' in faccia. Sul tavolo da pranzo apparecchiato c'erano dei dolci: Maggie si avvicinò per squadrarli. C'era un esuberante tentativo di Madeleines, poco lievitate e inondate di zucchero a velo. C'era un soufflé al cioccolato con la superficie sbruciacchiata e una Tarte Tatin che, invece, era impeccabile.
"Li avete cucinati voi?" chiese, voltandosi nuovamente verso i coinquilini. Loro annuirono.
"Vogliamo mangiarli o sono un nuovo pezzo di arredamento?" chiese ancora. Leo si sbrigò ad acciuffare un coltello e dei fazzoletti di carta. Milo prese i piatti e Jo la affiancò massaggiandosi il viso sbarbato, agitato e impaziente di sapere come fossero venuti i dolci.
Maggie fece le porzioni per tutti e, prima che potesse addentare una Madeleine, vide Jo sussultare e correre verso il divano.
"Questo è per te" le porse il pacchetto verde che Milo era andato a ritirare da Doctor Music.
La ragazza lo aprì curiosa: tirò fuori l'ultimo disco degli U2, Achtung Baby. Quel disco era stato motivo di discussione tra lei e Leo: il ragazzo mal sopportava la band irlandese e lei ne era invece grande fan.
"È pazzesco" mormorò Maggie, fissando proprio Leo. Lui gongolò, non accorgendosi che Milo aveva già morso la Tarte Tatin e stava cercando di dirgli qualcosa. Come sempre Jo non capì il suo labiale e non fece altro che accigliarsi.
Maggie non resistette oltre. Accorse ad abbracciare Leo e si felicitò di ritrovare il suo calore piacevole come giorni prima. Era un calore che la rasserenava, la rallegrava. Andò verso Jo e abbracciò anche lui, stampandogli un bacio sulla guancia e approfittandone per liberargli il viso dalla farina con una carezza.
"Ora assaggiamo questi dolci" asserì poi, sedendo e addentando il soufflé. Fortunatamente non si sentiva il sapore della poca cenere che era caduta, le Madeleine non erano terribili e, quando morse la torta di mele, evitò di dire ai cuochi quello di cui Milo aveva provato ad avvertirli e di cui loro si erano appena accorti. Probabilmente avevano confuso lo zucchero con il sale. Le smorfie sui visi di Jo e Leo erano più deluse che disgustate e Maggie fece per finire la sua fetta, prima che Jo si sporgesse per togliergliela di mano.
"Non devi soffrire, lo sappiamo che ci hai perdonato" le disse facendola scoppiare a ridere e passando a tutti una sigaretta per lavare via quel pessimo sapore.
3.
Dopo il licenziamento dal Donkey Pub, Leo aveva sfruttato le sue conoscenze tra i baristi e rimediato un paio di esibizioni di prova ad un altro locale, il Cherry. Il Cherry era gestito da ragazzi di Cambridge di un'età che variava tra i venti e i trent'anni; era totalmente in legno e si apriva in un cortiletto poetico pavimentato da lastre di pietra traslucide. I tavoli erano sempre gremiti di studenti e ogni venerdì si vendevano i cocktail a un prezzo stracciato. La pedana su cui Leo avrebbe suonato era nel cortile; certo, i primi di marzo Cambridge era ancora gelida, Leo dovette indossare sotto il cappotto due maglioni e ficcare sul capo il suo cappello a falda larga.
Per fare bella figura davanti al nuovo pubblico, scelse di suonare con la sua chitarra One degli U2 e qualche altra canzone recente, anche se lui tendeva ad adorare più le canzoni del passato. Per mantenere quel posto, probabilmente si sarebbe concesso a suonare persino i Nirvana.
Tutto sommato l'esibizione andò bene; spense l'amplificatore, controllò se lo strumento era ancora perfettamente accordato e si accese una sigaretta scendendo dalla pedana.
Una ragazza lo affiancò e gli porse un bicchiere.
"È cognac" gli disse "in onore delle tue origini"
Leo la guardò. Aveva indosso il grembiule, quindi lavorava come cameriera; avrà avuto trent'anni, era carina, formosa e un po' bassa, con dei lunghi capelli corvini e gli occhi verdi.
"Heather" si presentò poi la cameriera "mi piace la tua voce. Sei il primo musicista che suona qui che mi piaccia davvero"
"Ne sono onorato" rispose Leo, senza il coraggio di dirle che era francese ma il cognac lo disgustava. Poi si presentò, stringendole la mano fredda per il vento.
"Io stacco alle due, quindi tra mezz'ora: ti va di berci qualcosa insieme?" propose Heather.
Leo cercò una risposta nel tiro della sua Winston.
"Va bene" accettò con uno dei suoi morbidi sorrisi "allora ti aspetto fuori"
"Va bene" Heather abbassò lo sguardo e tornò a servire.
Leo sapeva benissimo che quella Heather non poteva essere Suzanne. Però si trovò a riflettere; tutti i suoi coinquilini, in quei mesi, avevano trovato o quasi trovato l'amore. Persino Milo sembrava esserci molto vicino. Forse Heather non era Suzanne, ma aveva un bel corpo e un viso delicato, e aveva gli occhi dello stesso smeraldo di Maggie.
Fumò almeno altre tre sigarette fuori dal Cherry's, in attesa del suo primo appuntamento dell'anno. Il pensiero di poter dimostrare a Jo che era in grado di rimorchiare se pur corpulento, lo spinse a non vedere l'ora di offrire da bere a Heather.
La ragazza uscì vestita di calze a rete e anfibi. Si era truccata gli occhi con una spessa linea nera e indossava dei guanti con le dita tagliate. In poche parole, Hather aveva tutta l'aria di essere grunge.
Leo inspirò e si convinse che fosse un'altra cosa di cui potersi vantare con Jo.
"Dove andiamo?" le domandò.
"Alcuni miei amici danno un festino. Facciamo un salto?"
"Con piacere"
Ma mentiva. Leo odiava imbucarsi in casa di sconosciuti soprattutto se in compagnia di sconosciuti dall'aspetto sospetto, come quello di Heather che era decisamente più affascinante con il grembiule da cameriera.
Il francese rientrò a casa insieme al sorgere dell'alba. Accese la luce e si sorprese, trovando Jo seduto al tavolo del salotto.
"Che fai, mi controlli?" biascicò con tono brusco. Lo spagnolo alzò lo sguardo su di lui e ne seguì i movimenti con un sopracciglio alzato. Il ragazzo doveva aver bevuto troppo; era paonazzo e barcollava, nel tentativo di spogliarsi della sciarpa rischiò di strozzarsi e imprecò quando il cappotto scivolò via dall'appendiabiti.
"In realtà stavo studiando. Ma la tua ira mi fa capire che nascondi qualcosa. Cosa hai combinato?" ridacchiò Jo, chiudendo il libro di Lirica su cui aveva trascorso la notte intera.
"Sono uscito con una donna"
"Con una donna!" lo spagnolo scoppiò a ridere "non una ragazza, addirittura una donna!"
"Una donna grunge" sottolineò Leo, preso di colpo dal singhiozzo.
"E vi siete solamente ubriacati o anche divertiti?"
Lui si accigliò.
"Io sono un gentiluomo!" asserì.
"E dimmi, era Suzanne?"
La domanda di Jo fece sorgere sul viso dell'amico un'espressione mesta.
Gli sedette accanto al tavolo e si accesero insieme una sigaretta.
"No, era Heather." sospirò.
"Sai? Forse dovresti rivederla da sobrio. Questa Heather potrebbe rivelarsi Suzanne" osservò l'amico dandogli una pacca sulla spalla.
"Una Suzanne grunge?"
"Perché no" Jo si strinse nelle spalle "magari si è adattata ai tempi".
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La Maledetta
RomanceÈ il 1991, Jo è di pessimo umore, i suoi coinquilini, invece, non fanno altro che ridere; una storia di amicizia e amore tra i lampioni di Cambridge, una storia di vita.