4.
"Potevi anche dircelo che ti chiamavi Margareth: ci conosciamo da un anno e credevamo tutti che fossi semplicemente Maggie!" strepitò sconvolto Jo, davanti a un boccale di birra al Cheap Pub.
"Pensavo fosse scontato che fosse un nomignolo" ridacchiò lei, accavallando le gambe e scrutando Milo, al tavolo da biliardo, lasciando che Jackie gli insegnasse come giocare.
"Credete che sia contento?" continuò poi, indicando l'italiano con il mento.
Leo si accese una sigaretta e si spogliò del maglione.
"Perché no, Jackie è una brava ragazza"
"Ho paura possa fare qualche stupidaggine" sospirò Maggie "Sono settimane che non apre libro. Libri da studiare, intendo. Dovremmo ricordargli che senza la borsa di studio..."
"Perché devi rompergli?" la rimbeccò Leo "Ha trovato finalmente la sua arte. Non ti ricordi il vecchio Milo: casa, biblioteca e filosofia?"
"Il vecchio Milo poteva permettersi però di vivere a Cambridge" osservò Jo "se non studia, la vedo difficile"
Leo roteò gli occhi e bevve d'un sorso le ultime gocce di birra.
Qualche giorno prima, Milo era entrato in camera di Maggie e l'aveva svegliata in piena notte. Aveva balbettato che Jackie gli aveva rimediato un cliente interessato a vederlo dipingere; questo cliente era a Londra, e sembrava un tipo a posto. Maggie non aveva avuto il coraggio di dirgli che era un salto nel vuoto, così lo aveva abbracciato e aveva risposto "ne parliamo a colazione, va bene?" ma poi non ne avevano più parlato. Jackie si era fermata più volte a dormire né "La Maledetta"; non aveva avuto timore di non piacere ai coinquilini neppure per un istante, forse perché sapeva che, con la sua arte, con la sua dolcezza e i vestiti colorati rallegrava l'ambiente. Era una ragazza affabile che sembrava completare a pieno Milo: insieme stavano proprio bene.
"Lo sapevate che vuole partire per Londra e tentare la fortuna?" allora lei decise di condividere il fatto con i due ragazzi. Jo sgranò gli occhi; Leo si limitò a sorridere.
"Vuole lasciare l'Università?" sbottò Jo.
"Se tutto va bene, temo di sì"
"E fa bene: se potessi, anche io smetterei di studiare" mormorò Leo.
"Tu già non studi" controbatté lo spagnolo.
"Sei solo invidioso perché hai paura di pubblicare le tue poesie"
"Io non scrivo!" sbraitò Jo "Non voglio più ripetertelo!"
Maggie riportò la calma ordinando un altro giro di birre.
Il ventidue Aprile, Milo aveva i bagagli pronti e la paura a fargli tremare le mani.
Maggie gli passò il giacchetto di jeans e gli sfilò gli occhiali per pulirgli bene le lenti.
Leo gli diede una pacca sulla spalla e gli augurò buona fortuna.
Jo, che la sera prima aveva cercato di dissuaderlo, si limitò a salutarlo con un gesto della mano.
"Jackie dice che posso farcela" gli si rivolse Milo.
"I tuoi lo sanno?" gli domandò severo Jo.
Lui scosse il capo e guardò in terra.
"Non saremo noi a dirglielo, ma non fare stupidaggini. Ti vogliamo con noi, l'anno prossimo" Maggie lo abbracciò stretto.
"Tornerò e studierò, lo giuro. Ho portato con me qualche libro, così..."
"Milo, cerca di impressionare quel gallerista e basta." tagliò corto Leo "Potresti essere il prossimo Picasso"
"Ma potrebbe anche essere il prossimo Basquiat, morire per droga ed essere ritrovato nudo in un cassonetto." mormorò tra sé e sé Jo, per fortuna nessuno lo udì.
Si sentiva incompreso, l'unico che si preoccupasse davvero per Milo: la sua giovane vita però gli aveva insegnato che sognare andava bene, finché si tenevano i piedi per terra. Aveva paura che Milo, da quel volo, potesse tornare più dispiaciuto e impacciato di prima.
Maggie lo accompagnò fino all'auto di Jackie e salutò la ragazza con un sorriso. Le disse di prendersi cura del ragazzo e di assicurarsi che studiasse: lei annuì giusto per farlo.
Milo la abbracciò di nuovo e cercò di sfogare in quella stretta il suo nervosismo.
"Andrà bene" gli sussurrò la coinquilina "torna da vincitore e, poi, mettiti sotto con gli esami. Non voglio dover cercare un altro inquilino"
Milo le sorrise e le scoccò un bacio sulla guancia.
Maggie non avrebbe mai davvero voluto cercare un altro coinquilino ma, soprattutto, non avrebbe mai voluto raccogliere le lacrime del suo migliore amico.
5.
Jo disse addio al suo posto da assistente di Letteratura moderna uno degli ultimi giorni di Aprile. Il professore lo aveva chiamato nel suo studio e lì lo aveva tenuto incollato mezz'ora alla sedia motivandogli la scelta: Jo si era mostrato decisamente poco interessato al compito, trascorrendo più tempo in giro che appresso ai doveri. Il ragazzo aveva subito quella ferita nell'orgoglio annuendo con il capo e scusandosi; aveva preso i soldi che gli erano dovuti, meno di quelli che si aspettava, e quella stessa sera si era ubriacato con il vino rosso freddo del frigorifero, sfogandosi con gli amici e infine crollando addormentato sul divano.
Leo aveva accennato un sorriso e aveva spento la televisione, dove stavano trasmettendo una replica di un episodio di "Willy, il Principe di Bel Air".
Maggie gli aveva sfilato le scarpe e gli aveva poggiato addosso una coperta, spegnendo poi le luci e sedendosi al tavolo per fumare una sigaretta insieme al francese.
"Povero Jo" aveva sussurrato "Era così dispiaciuto..."
"Non aveva la stoffa da assistente: troppo simpatico" aveva detto Leo, fumando insieme a lei nella penombra e perdendo lo sguardo nella parete dipinta da Milo.
Il giorno seguente, Jo si era trascinato a lezione con poca voglia di vivere e si era seduto agli ultimi banchi accanto a Leo.
Aveva ascoltato distrattamente la lezione di Chaucer con gli occhi invece fissi sul manuale di Lirica. Quello era l'esame che lo spaventava di più, un po' perché il professore aveva una malfamata nomea e un po' perché era il padre di Maggie e non aveva intenzione di fare brutta figura.
Quando la lezione era terminata aveva seguito Leo fuori dalla facoltà per prendere un caffè ma era stato raggiunto dalla spiacevole voce di Colette.
La ragazza lo aveva richiamato con un buffetto sulla spalla e lo aveva guardato in cagnesco.
Il francese era indietreggiato di qualche passo ma aveva teso l'orecchio alla conversazione.
"Ora come diavolo faccio con l'esame?" lei aveva strepitato "io non ho aperto libro, confidavo nel nostro accordo!"
"Avevamo un accordo?" le aveva risposto Jo con faccia tosta.
Lei aveva inarcato un sopracciglio e esalato il fumo della sua Marlboro.
"Credi che venissi a letto con te perché mi piacevi? Pensavo fosse palese che era un pagamento per un bel voto"
"Lo era, ma non me lo hai mai detto"
"Insomma, ora che faccio?"
Jo aveva scrollato le spalle.
"Inventati qualcosa, scopati il professore. Tanto è questa la tua tecnica, giusto?"
Colette gli aveva assestato uno schiaffo sulla guancia e se ne era andata arrabbiata.
A quel punto Leo era scoppiato a ridere e aveva cinto le spalle dell'amico, "andiamoci a prendere questo caffè, offro io" aveva detto, canticchiando una canzone di Bob Dylan che gli sembrava opportuna per l'amico, "Spanish is the loving tongue".
L'unica ancora che era rimasta a Jo, svanito il guadagno da assistente, era quindi il patrimonio del padre. Questo bruciava sul suo orgoglio molto più del licenziamento; decise allora di mettersi sotto con lo studio per, perlomeno, portare nell'algida casa spagnola un ottimo voto di laurea.
Alle sette del mattino di un mercoledì, il ragazzo era già sui libri.
Maggie si alzò con gli occhi cisposi e ancora assonnati e camminò silenziosa verso il cucinino. Aveva un lungo turno davanti a sé, in biblioteca; aveva mal di testa e avrebbe preferito restare a casa per qualunque minima scusa.
Lo trovò già vestito e con le mani tra i capelli, apparentemente disperato.
Non gli disse nulla, mise su il caffè e aspettò che fosse pronto per sedersi al tavolo con moka, sigarette e due fette della crostata che aveva cucinato il giorno prima.
"Che studi?" gli chiese poi.
"Lirica"
Maggie sbuffò e zuccherò entrambi i caffè.
"Mio padre adora Saffo: preparala bene" lo informò, prendendo il suo quaderno di appunti e sfogliandolo interessata.
"Grandioso: io odio Saffo" latrò Jo ficcandosi una sigaretta tra i denti.
"Cosa c'è in fondo ai tuoi occhi, dietro il cristallino, oltre l'apparenza? Dove il tempo d'improvviso si ferma e la mia anima sulle tue labbra resta sospesa?" recitò la ragazza, continuando a sfogliare il quaderno.
Lui tacque e si accese la sigaretta.
"Le sai a memoria?"
Maggie sorrise. "Sono figlia di un professore di Cambridge, di certo a letto non mi leggeva Hansel e Gretel!"
"Mi dispiace" asserì l'amico, facendola scoppiare a ridere.
"Però la mia preferita è un'altra" asserì Maggie, chiudendo gli appunti e lasciandosi accendere la sigaretta.
"Quale?"
Lei si schiarì la voce e tirò una boccata di fumo.
"Vieni, inseguimi tra i cunicoli della mia mente tastando al buio gli spigoli acuti delle mie paure. Trovami nell'angolo più nero, osservami. Raccoglimi dolcemente scrollando la polvere dai miei vestiti. Io ti seguirò. Ovunque."
Maggie recitava quelle poesie come se, a scriverle, fosse stata lei. Lo faceva fissando il vuoto, tenendo la sigaretta tra le dita, accovacciata su quella sedia nel suo pigiama celeste. Le veniva naturale, la sua voce era morbida nel primo mattino, nel silenzio della casa e della città ancora addormentata.
"È bella" mormorò Jo.
Lei annuì.
Allungò poi una mano fredda sul viso del ragazzo, sporco di caffè, e lo pulì in una carezza. La sua mano però rimase lì, sulla guancia liscia, e pensò che alla fine non stava male neanche senza barba, Jo.
Gli scrutò i tratti e lo vide poggiare la mano sulla sua, come volesse fissare quella carezza per sempre.
Jo poggiò la sigaretta nel posacenere e si sporse leggermente, spostandole i capelli ramati dietro un orecchio e perdendosi nei suoi occhi smeraldo.
Maggie continuò a stringergli la mano, forse aspettando che si avvicinasse di più.
Il telefono trillò e ruppe la magia.
Lei divenne improvvisamente paonazza, balzando dalla sedia e correndo ad alzare la cornetta mentre Jo strizzava seccato gli occhi e recuperava la cicca.
"Milo!" gioì lei, cercando di nascondere il tremore delle mani intorno alla cornetta e il battito pulsante del cuore in una smorfia naturale.
"Come va a Londra?"
"Tutto bene!" l'italiano sembrava esultante "Dormiamo a casa di amici di Jackie. Qualcuno di loro si fa le canne, ma non mi sembrano cattivi ragazzi. Sono tutti così...artistici! Mi mancate molto, ieri sono andati in un pub ed io sono rimasto in camera a studiare come mi avete detto. Però in settimana dovremmo incontrare il gallerista."
"Bene! Quando torni?"
A quella domanda, Milo borbottò qualcosa di molto confuso.
Fece cadere la conversazione e la salutò scoccando un bacio sul telefono.
Lei agganciò un po' interdetta e tornò a guardare Jo, con lo sguardo fisso addosso a lei.
"Io...vado a farmi una doccia, tra poco devo stare a lavoro" balbettò Maggie nuovamente travolta dall'imbarazzo, spegnendo la sigaretta nel lavabo e rinchiudendosi in bagno.
6.
Alla fine del mese, di Milo non si avevano altre notizie.
L'italiano aveva telefonato un altro paio di volte, raccontando loro la vita artistica che stava conducendo a Londra: diceva di trovarsi bene in quell'ambiente, cercando ovunque l'ispirazione che però non trovava e aspettando con ardore l'incontro con quel gallerista. I coinquilini gli avevano più volte domandato quando sarebbe tornato, lui non lo sapeva, forse non voleva saperlo o si vergognava a chiederlo: fu in quei giorni che Jo iniziò a mal sopportare Jacqueline.
Andava in giro per casa parlamentando su quanto quella ragazza lo stesse influenzando: che Milo aveva bisogno di una ragazza con la testa sulle spalle, che Jackie la testa proprio non l'aveva e che era certo che ci sarebbero stati dei guai. Diceva che, negli anni novanta, non si viveva più come negli anni sessanta: che bisognava studiare per potersi pagare una vita.
Leo lo ascoltava senza grande partecipazione, lui che aveva sempre fatto come gli piaceva e che dava soltanto gli esami che gli interessavano. Era a Cambridge da tre anni eppure la laurea era lontanissima e si trovava a seguire i corsi che voleva, senza troppi problemi. A lui piaceva suonare nei locali, non comprendeva la preoccupazione di Jo.
Maggie dal canto suo sperava che lo spagnolo avesse torto e, di nascosto, telefonava a Milo per chiedergli di raccontarle qualcosa in più e per incoraggiarlo a seguire il suo sogno.
Per quanto lei ne aveva saputo fino a poco tempo prima, il sogno di Milo era la filosofia. Ma il ragazzo stava cambiando e la filosofia sembrava esser diventata la sua realtà e la sua essenza, l'arte invece il suo sogno.
"Non vedo l'ora che torni" gli telefonò una mattina Maggie "casa sembra vuota senza i tuoi discorsi filosofici."
"Sai che secondo i buddhisti il vuoto in realtà è il tutto?"
Maggie ridacchiò e levò gli occhi al soffitto.
"Ora sì che ti riconosco"
"Sono sempre lo stesso Milo, solo che sono intrappolato in una casa di artisti strampalati alla ricerca di fortuna"
Anche Maggie, quella mattina, avrebbe avuto bisogno di fortuna.
Infatti solo un paio di giorni prima aveva incontrato suo padre in biblioteca: dalla sorpresa le era caduto di mano il libro che doveva catalogare. Aveva fatto così tanto rumore, echeggiando nel silenzio del posto, che Jo e Leo avevano alzato gli occhi dai loro libri per capire cosa stesse accadendo.
Leo, preso dal terrore che gli scatenava quell'uomo, aveva nascosto il viso nel manuale di letteratura e finto di non esistere, la stessa tecnica che usava alle elementari per non farsi chiamare alle interrogazioni.
Jo invece aveva seguito interessato la sagoma dell'uomo mordicchiando la matita.
"Tua sorella Helen ha vinto un'importante competizione di equitazione." le aveva detto il padre "Devi venire al ricevimento. Lo diamo nella casa di campagna."
Maggie lo aveva guardato in silenzio.
"Non me l'ha detto" aveva poi mormorato.
"E ti stupisci? Non ci sei mai a casa. Ti fai vedere solo alle feste comandate."
"Non mi sento a mio agio a casa, lo sai..."
"Non mi sembra di averti chiesto i motivi." lui aveva tagliato corto e la ragazza aveva abbassato lo sguardo sui suoi piedi.
"Domani, alle sei." le aveva ancora detto prima di voltare le spalle e camminare via.
Maggie si era seduta sul banco degli amici e si era portata le mani al volto.
"Vogliamo essere di nuovo fidanzati?" le aveva sussurrato Leo, sperando in un rifiuto.
"Ci andrò da sola" Maggie aveva sfilato una sigaretta dal pacchetto di Jo "però potete almeno accompagnarmi a fumare?"
"Mi piace molto il tuo vestito; è firmato?"
Maggie guardò la donna che aveva davanti e per un secondo pensò di mentire. Poteva dire di averlo comprato in un negozio costoso a Londra, o che era un regalo del suo fidanzato. Alla fine decise di scuotere il capo e si strinse nell'abito rosso svolazzante che le risaltava la carnagione pallida.
"Anche tu cavalchi?" le chiese ancora la donna.
"Quando ero piccola ho preso qualche lezione, ma mi sembrava crudele per il cavallo"
"Sei un'animalista?"
"Non proprio, sono solo sensibile" lei sorrise timidamente.
"E che fai, studi anche tu?"
"Lavoro"
"Di già! Hai l'aria da ragazza intelligente. Sei un'accademica, te lo leggo negli occhi: la tua famiglia ha tradizioni lunghissime di accademici, è bello che i figli seguano le orme dei padri..."
Mentre la signora parlava, Maggie non poteva evitare di fissare i suoi denti gialli per il fumo. Aveva una dentatura che la faceva somigliare a un cavallo ed era abbastanza appropriata alla situazione, dato che sua sorella Helen girava tronfia per i tavoli indossando la sua tuta da cavallerizza.
Aveva una voce stridula e un pomposo cappello a falda con una piuma. Pensò che se lo avesse regalato a Leo, gli sarebbe piaciuto molto. Gli orecchini le pesavano sui lobi un po' rugosi ed effettivamente, nel suo insieme, quella signora senza nome era uno spettacolo decadente, come un vecchio circo.
"No, lavoro in una biblioteca" la interruppe prima che continuasse nel suo noioso discorso.
"Sei nella direzione?"
"Sono un'impiegata. Non mi sono mai laureata"
L'espressione delusa che si formò sul volto della donna la rese un po' soddisfatta.
"Sì" colse allora l'attimo "guadagno poco e può sembrare un lavoro noioso. Quando torno a casa puzzo di libro vecchio e di polvere. Trascorro il tempo a catalogare e riordinare volumi e talvolta devo anche spazzare a fine giornata." asserì poi con fierezza.
La donna annuì con espressione poco compiaciuta e smise di parlare. Proprio quello che Maggie voleva.
Sua madre aveva provato a convincerla a sedersi allo stesso tavolo di suo padre, ma lei era svicolata e aveva scelto di sedere accanto alla signora con lo strano cappello. Era stata un'ottima decisione.
"Mia figlia la sta tediando?" il signor Robinson comparve alle spalle di Maggie, indossando sulla giacca blu un foulard celeste.
Aveva i capelli bianchi perfettamente pettinati. Era un bell'uomo, nonostante la sua età.
"Le figlie interessanti sono all'altro tavolo" continuò poi con un sorriso beffante "Lei è quella noiosa. C'è sempre bisogno di qualcuno che ci riporti con i piedi per terra, giusto?"
La donna rise mentre la ragazza abbassava lo sguardo e sopportava la pugnalata nel cuore.
"Mi segui, Margareth?" poi il padre le sussurrò all'orecchio, e lei si alzò con il calice di vino bianco in mano.
Giunsero al tavolo familiare e finalmente salutò le due sorelle. Abbracciò Helen e si congratulò, sorrise a Emma che non corrispose se non con una delle sue algide smorfie. Accanto a questa sedeva il fidanzato di lunga data, Barry.
"Margareth, tesoro" sua madre si accese una delle lunghe e fini sigarette "Dov'è il tuo fidanzato?"
"Ci...ci siamo lasciati" mormorò Maggie.
Emma si liberò in una sommessa risata, la sorella finse di non sentirla.
Anche il signor Robinson assunse un'espressione per nulla sorpresa.
In piedi davanti al tavolo imbandito, strappò il calice dalla mano di Maggie e ne vuotò il contenuto sul prato. Poi vi fece tintinnare sopra un cucchiaino, richiamando il centinaio di ospiti che erano elegantemente e allegramente seduti nel loro giardino.
Avendo l'attenzione di tutti, invitò Emma e Barry ad alzarsi.
"Siamo qui per festeggiare Helen, ma vorrei che per qualche attimo la sua brillante sorella maggiore le rubasse l'attenzione" dichiarò il signor Robinson. Sorrise alla figlia più grande e le lasciò la parola.
"Io e Barry ci sposeremo nel prossimo anno!" questa esclamò con voce orgogliosa e altera.
Seguì un lungo applauso: anche Maggie applaudì, ed improvvisamente non udì più nulla. Guardò gli invitati: guardò gli occhi commossi di sua madre, quelli fieri del padre, guardò Helen abbracciare la futura sposa e Barry baciarla.
Si sentì una nota stonata all'interno di un'armoniosa sinfonia.
Non aveva mai nulla da raccontare, la gente non si ricordava di lei.
Era proprio la figlia noiosa.
Si accese una sigaretta e scelse una sedia distante per sedersi in solitudine.
Lì, Maggie pianse in silenzio.
Jo chiuse il libro e si massaggiò il viso. Lanciò un'occhiata all'orologio: era già mezzanotte.
Maggie non era ancora tornata, e con Leo avevano pensato che forse sarebbe rimasta a dormire nella tenuta per non guidare nel buio della sera.
Era solo da quando il francese era uscito per suonare al Cherry, e si era cucinato un hamburger insapore che aveva condito con troppo ketchup.
Aveva studiato ininterrottamente e talmente concentrato che aveva scordato persino di fumare.
Si alzò per sgranchirsi le gambe e prese il pacchetto di Winston sul frigorifero. Poi, dato che non aveva messo naso fuori di casa, decise di spalancare l'enorme finestra del salotto e accedere a quel terrazzino dove, per chissà quale motivo, non andavano mai. Forse per colpa del terribile clima inglese. Notò che infatti era sporco e aveva bisogno di essere spazzato, ci avrebbe pensato il giorno dopo. Si appoggiò alla balaustra e si accese la sigaretta, osservando il cielo buio e senza stelle.
Si sporse leggermente per scrutare il marciapiede e strizzò gli occhi nella nube di fumo.
Studiò quella sagoma per qualche istante e la richiamò con uno spiccio "Hey!".
Maggie alzò lo sguardo e incontrò il coinquilino.
"Che ci fai lì?" le chiese Jo.
"Non lo so"
"Non sali?"
"Non mi va" lei ribatté.
Lo spagnolo continuò a fumare osservandola. Poi rientrò in casa, chiuse la finestra e s'infilò un maglione blu. La notte era fredda anche a fine aprile. Afferrò un altro maglione a casaccio, ficcò il pacchetto di Winston e l'accendino in tasca, prese la bottiglia di vino dal frigo e si ricordò all'ultimo delle chiavi di casa.
Percorse a perdifiato le scale e sbucò sui tre gradini davanti al portone. Maggie si voltò e gli sorrise con malinconia.
"Mettiti questo" le ordinò il ragazzo porgendole il maglione.
Le sedette accanto e stappò con un rumore strano la bottiglia, versando il vino in due bicchieri.
Le diede una sigaretta e gliel'accese senza neanche farla parlare.
"Mia sorella si sposa" sussurrò Maggie.
"Quanti anni ha?"
"Ventiquattro"
Jo sbuffò. "Troppo presto, non la invidio."
La ragazza tirò su con il naso e nascose le dita nelle maniche del maglione.
"Hanno tutto, sai? Hanno un lavoro, una passione, una persona accanto che le ama. Sono belle, sono intelligenti. Io cosa ho?" parlò con gli occhi ricolmi di lacrime.
"Tu hai tutto come loro: hai un lavoro, sei bella, sei intelligente e hai addirittura tre persone accanto che ti amano." la rimbeccò lui.
"Un altro tipo di amore, Jo."
Il ragazzo si fece serio. Sul suo piccolo viso non leggeva più nulla di quello che era Maggie: non c'era gioia, non c'era speranza, non c'era luce. Era un ramoscello spoglio e fragile, accovacciata sui gradini di marmo a riflettere su qualcosa che le faceva solo male.
Le cinse le spalle con un braccio e la tirò a sé. Lei poggiò la testa sulla sua spalla e riprese a piangere quieta.
Avrebbe voluto poterle strappare via quella tristezza, anche a costo di essere triste lui stesso.
La strinse ancora di più, e Maggie nascose il viso sulla sua spalla, Jo riusciva a sentirla singhiozzare.
"Se non ti va di dormire, io sono qui ogni notte" le sussurrò.
Maggie non rispose, abbandonandosi al suo abbraccio.
Jo profumava di buono.
"Come farei se non ci fossi tu?" gli disse.
Lo spagnolo tirò una boccata di fumo. Avrebbe dovuto dirle che lui ci sarebbe stato per sempre. Che era sempre la prima nei suoi pensieri, che non l'avrebbe mai scordata, che era lui a non sapere come sarebbe stata la sua vita, senza Maggie. Eppure le diede un bacio sulla nuca e tacque. Probabilmente avrebbe continuato ad amarla con discrezione, pur di non perderla.
La coinquilina si slegò dall'abbraccio e sorseggiò il vino.
"Ho sognato che mi baciavi, l'altra notte" gli disse sorridendo.
Jo inarcò le sopracciglia e fumò. Almeno nei sogni riusciva a baciarla.
STAI LEGGENDO
La Maledetta
RomantizmÈ il 1991, Jo è di pessimo umore, i suoi coinquilini, invece, non fanno altro che ridere; una storia di amicizia e amore tra i lampioni di Cambridge, una storia di vita.