Capitolo 28

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"Riposati tesoro."
Appoggia un bacio umido sulla mia fronte.
Mary è così: dolce e premurosa.
Ancor di più in questi giorni.
Sarebbe stata una madre perfetta se avesse avuto figli.
In realtà non conosco la sua storia, ha deciso di non averli di sua volontà oppure c'è un altro motivo?
Non trovo il coraggio per chiederlo, non sarebbero nemmeno affari miei.
Mi rigiro tra le coperte assumendo una posizione comoda per dormire.

Sono passati un paio di giorni da quando sono tornata a casa e poco più di una settimana dall'accaduto.
Alcune ferite si sono rimarginate ma quella che provo dentro di me non fa altro che squarciarsi sempre di più.

Da quando sono piccola sento storie di questo genere alla televisione, sui giornali oppure a scuola.
Sempre da lontano ma mai mi ha toccato.
La sessualità, per me, non è un tabù come per molte persone.
Mi è sempre piaciuto il contatto fisico invece che l'affinità mentale.
Non mi importava chi fosse la persona, uomo o donna, ma volevo sentire i brividi su tutto il mio corpo per l'eccitazione.
Questo mi importava, non i sentimenti.
In questo caso, però, non c'era nulla di tutto ciò, ma solo il male.

Ora, l'argomento dello stupro, mi tocca personalmente.
La persona che si trovava col corpo sopra al mio, non ha rispettato il mio volere.
Ha soltanto distrutto la mia dignità ed il mio essere.
Come può un umano ad essere così prepotente, violento, meschino?
Come può una donna riprendere le redini della sua vita per non sprofondare nell'oblio della depressione?
Come farò a fidarmi di nuovo delle persone?

Sono tante le domande ma alcuna risposta.
Neanche una lacrima ha toccato le mie guance da quando mi sono risvegliata.
È come se provassi più niente, che niente mi interessi.
Un sorriso, una lacrima, una smorfia...
Il mio viso rimane così com'è: serio.

Sono stati dei giorni di sofferenza fisica oltre psicologica.
Ad ogni movimento era un lamento a causa dei lividi che ricoprivano il mio corpo.
Ora alcuni sono ancora visibili ma meno dolorosi, sopportabili.

Sprofondo la testa sul cuscino e cerco di farmi cullare dal sonno.
Peccato che la mia mente non me lo permetta.
Troppi pensieri, scene di quella sera, i vari poliziotti che mi hanno interrogato, il viso di Brandon.
Mi sporgo sul lato del letto e prendo il fiore posto sopra il comodino.
Lo rigiro tra le mie mani, ormai spento ed appassito.
Alcuni petali si sono staccati ed il gambo è floscio.
Per quanto sia una semplice margherita, non voglio staccarmi da lei.
Ormai è una cosa importante per me, ha troppo valore.
Potrei andarmene in un campo pieno di margherite ma non sarebbero la stessa cosa di quella che tengo tra le dita.
La porto tra i miei capelli e l'incavo dell'orecchio, proprio dove l'aveva posizionata Brandon.
Il giorno che mi sono risvegliata ho chiesto, sia ai medici e alle infermiere sia ad ogni persona che veniva a trovarmi, se fossero stati loro a regalarmela.
Ma niente, nessuno sapeva di quella semplice e bellissima margherita.

Chiudo gli occhi sperando che tutto il buio attorno a me possa sparire al mio risveglio.
Ma so già quale sarà la risposta.

**

"Piccola, devi mangiare qualcosa."
Spinge verso di me, la piccola donna, il piatto di pasta.
"Non ho fame."
Rispondo secca.
Appoggio la testa sul palmo della mano mentre porto le ginocchia verso il petto.
"Provaci almeno."
Porto gli occhi sui suoi.
Sono così piccoli e stanchi.
In questi giorni Mary ha pianto veramente tanto.
Mi sento in colpa perché sono io la causa.
Nonostante questo però davanti a me cercava di essere quella di sempre, gioiosa e comprensiva, buffa e affettuosa.

Assumo una posizione più rilassata sciogliendo le gambe e staccando il braccio dalla tavola.
Lo faccio solo per lei perché so che la farebbe star meglio.
Prendo la forchetta affianco al piatto e rigiro qualche spaghetto sui rebbi.
Faccio un boccone, masticando molto attentamente, ma ad ogni morso passa completamente la voglia di farlo.
Ingoio a fatica e quando sollevo lo sguardo vedo una Mary super felice.
Mi sorride, con occhi luminosi e pieni di speranza.
Faccio un piccolo cenno pure io sollevando i lati della bocca.
Più che un sorriso mi è venuta una smorfia.

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