Nello specchio

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 Amelia non era una persona felice. Aveva quindici anni, ma sarebbe diventata vecchia volentieri
l'indomani, se ciò avesse significato che la sua vita sarebbe stata diversa e, ovviamente, se ciò fosse
stato possibile. Amelia era una ragazzina piccola e mingherlina, tutta pelle e ossa, pallida e con le
lentiggini. A prima vista sembrava una comune quindicenne con i jeans strappati, le T-shirt stampate
e le felpe sempre troppo larghe, ma lei non sentiva di condividere niente con le altre persone della
sua età. Non aveva nulla in comune con gli altri adolescenti e lei avrebbe preferito qualunque
tortura piuttosto che diventare simile a loro. Amelia non aveva amici a scuola, né vicino a casa, non
praticava attività sportive, né frequentava luoghi in cui avrebbe potuto conoscere altri suoi coetanei.
I ragazzi la prendevano in giro, la consideravano strana e la insultavano quando la vedevano
camminare per strada, la spintonavano sull'autobus, le facevano lo sgambetto nei corridoi. Le
ragazze, invece, sapevano essere più discrete, ma decisamente più crudeli. Ridacchiavano ogni
volta che entrava in classe, le nascondevano lo zaino quando andava al bagno, frugavano tra le sue
cose quando era distratta e una volta avevano persino appeso in aula una foto che avevano trovato
nel suo diario. Si trattava di un semplice scatto in cui lei aveva solo quattro anni, e sorrideva mentre
teneva in braccio un cagnolino dal pelo fulvo, ma i suoi compagni lo vedevano come qualcosa di
ridicolo. Avevano iniziato a chiamarla "Cagnetta" e più lei si innervosiva, più quel nomignolo
prendeva piede, minacciando di non staccarglisi mai più di dosso. No, Amelia non voleva essere
una ragazza come le altre, se questo significava essere come le sue compagne, che se ne stavano lì a
ridere di lei con i loro capelli lunghissimi perfettamente acconciati, i vestiti alla moda e il trucco
perfetto su quei visi angelici che nascondevano animi così crudeli. Amelia odiava tutto di loro e non
voleva avere niente addosso che potesse ricondurre a ragazze di quel genere, per questo indossava
vestiti scuri, felpe troppo grandi e non si truccava mai. A causa loro teneva i capelli castani tagliati
corti, appena sotto l'orecchio, e rasati sulla nuca. Quel taglio la faceva sentire migliore, più forte.
Ogni volta che andava dal parrucchiere pensava alle sue compagne nell'intento di tagliarsi i capelli
in quel modo e rideva, perché quelle oche avrebbero pianto come poppanti anche solo per un
centimetro in meno della loro chiome lucenti, e poter fare qualcosa che avrebbe ferito qualunque
altra ragazza la faceva sentire meglio.
Un'altra cosa che aveva su Amelia lo stesso effetto del suo taglio di capelli era la biblioteca.
Adorava leggere e nel suo paese ce n'era una abbastanza grande e mai troppo affollata. A casa si
sentiva in trappola perché sua madre la tempestava sempre di domande inopportune a cui lei non
aveva mai voglia di rispondere, e poi c'era suo fratello che ascoltava la musica a volumi
insostenibili a qualsiasi ora, così passava tutti i pomeriggi dopo la scuola in biblioteca. Studiava e
faceva i compiti in tutta tranquillità nella sala da lettura del secondo piano. Era arredata con un paio
di scrivanie con le sedie girevoli vicino alle pareti e qualche poltrona morbida e comoda al centro
della stanza. Amelia la adorava perché rappresentava la camera tutta per sé che non aveva mai
potuto avere. Era sempre vuota perché di solito tutti gli altri visitatori occupavano le sale del primo
piano o del piano terra, nessuno saliva mai fino al secondo e la ragazza era davvero grata di tutta
quella pace. Non impiegava mai più di un paio d'ore per finire i compiti, ma non tornava mai a casa
prima dell'ora di cena, perché preferiva restare in quell'oasi di tranquillità a leggere per tutto il
tempo che poteva. Adorava i romanzi a prescindere dal loro genere. Avventura, fantascienza, horror,
giallo, o fantasy non aveva importanza, finché la storia riusciva a portarla in un mondo che non era
il suo. La biblioteca riusciva a proteggerla da tutto ciò che la feriva a scuola, a casa, ovunque e,
quando non poteva nascondersi tra quei muri ricoperti di scaffali, le bastava immergere la testa tra
le pagine di una storia. A scuola, quando sentiva di non poter più sopportare nulla, s'infilava con
discrezione un libro sotto la felpa abbondante e chiedeva al professore di andare al bagno. Di solito
le bastavano dieci minuti di lettura in tranquillità per sentirsi subito meglio.
Quel giorno era scappata via perché qualcuno dei suoi compagni le aveva attaccato della gomma da
masticare tra i capelli. Ci aveva messo meno del previsto a togliersela e quasi sicuramente non
avrebbe dovuto rasarsi la testa come speravano gli autori di quello stupido scherzo. In ogni caso
aveva portato con sé un libro che aveva cominciato la sera prima. Si trattava di un volume intitolato
"Lui nello specchio", che apparentemente non aveva nulla di particolare, ma che aveva attirato
l'attenzione di Amelia così tanto da prenderlo e cominciarlo subito. La copertina era bianca, con il
disegno stilizzato e infantile di un ragazzo, non c'era altro. Mancava il nome dell'autore, la trama
riassunta sul retro, qualsiasi informazione sulla casa editrice e qualunque altra cosa che
normalmente era riportata sulla copertina di un libro. Amelia non aveva chiesto delucidazioni alla
bibliotecaria, che sembrava non aver notato la stranezza quando aveva registrato il romanzo che
stava prendendo in prestito. L'avrebbe interpretato come un mistero, un'avventura collegata a un
libro, ma che sfociava nel mondo reale. Aveva cominciato a leggere la sera stessa, subito dopo cena,
pronta ad imbattersi in qualunque stranezza quel libro celasse. Al centro della prima pagina c'era un
avvertimento: "non leggere mai questo libro di fronte a uno specchio". Amelia pensò che facesse
parte della trama, visto che lo specchio era nominato anche nel titolo, così superò quella frase e
continuò a leggere. Il capitolo introduttivo presentava un personaggio di nome Eric, che viveva
nella sua camera da letto dalle pareti bianche, senza porte né finestre, non spiegava perché stesse lì,
o come ci fosse entrato. Quelli successivi raccontavano attività a cui Eric amava dedicarsi in quella
stanza, cosa avrebbe voluto fare se avesse avuto una porta per andare all'esterno, cosa odiava di
quella vita e cosa invece gli piaceva. Alcuni parlavano dei suoi sogni e incubi, dei suoi gusti in fatto
di cibo e musica. Quel libro sembrava andare avanti così fino alla fine, era come se non avesse una
trama, come se lo scopo di quelle pagine fosse analizzare la personalità e la vita di quel ragazzo
immaginario. Dieci minuti nel bagno delle ragazze trascorsero fin troppo in fretta. Nonostante quel
libro non raccontasse nessuna storia particolare, Amelia si era scoperta molto interessata alle
giornate solitarie di Eric nella sua stanza, voleva continuamente sapere di più su di lui e quel giorno
si sarebbe volentieri nascosta lì per il resto della giornata solo per continuare a leggere. Non aveva
mai letto nulla che fosse strutturato in quel modo ed era davvero curiosa di sapere come potesse
concludersi un libro del genere. In ogni caso, se non fosse tornata in classe, il professore si sarebbe
insospettito e sarebbe venuto a cercarla, perciò non poteva lasciarsi sorprendere a oziare nei bagni.
Aveva ancora il libro aperto davanti agli occhi mentre si avvicinava a uno dei lavandini per
sciacquarsi le mani, terminò il capitolo, poi lo chiuse e lo appoggiò sul termosifone, in modo che
nemmeno una goccia d'acqua potesse raggiungerlo. Quando poi la sua attenzione si spostò sul
lavandino, sussultò per lo spavento. Appeso alla parete c'era uno specchio che, invece di riflettere la
sua immagine, le mostrava quella di un ragazzo della sua età, con i capelli scuri, il viso pallido e gli
occhi di un azzurro trasparente. Amelia indietreggiò spaventata.

- Ciao – disse il ragazzo.

- C-chi sei? – balbettò lei ancora tremante – Questo è il bagno delle ragazze, non puoi stare qui –

- Hai letto il libro davanti allo specchio – osservò lui calmo.

- C-cosa? –

Il ragazzo indicò con un cenno del capo il volume rimasto abbandonato sul termosifone – Lo
specchio ha catturato il tuo riflesso mentre leggevi uscendo dal bagno e ha aperto un varco nella
mia stanza, ma non dovrebbe durare per molto –

- T-tu sei Eric? –

Il ragazzo annuì – Mi dispiace di averti spaventato, ma era da tanto che non si apriva un varco e mi
sono affacciato subito. Tu come ti chiami? –

- Amelia... - rispose la ragazza, a metà tra la paura lo stupore. Quella era la prima volta che riusciva
a conversare civilmente con un altro adolescente, poco importava se lui le parlava dall'altro lato di
uno specchio.

- Amelia! È un bel nome, mi piace – lei gli sorrise arrossendo leggermente – Ti va di parlare un po'
con me? Mi sento molto solo qui –

Amelia rimase sbalordita. Nessuno voleva mai chiacchierare con lei e sentirsi considerata da un suo
coetaneo che non sembrava volerle giocare brutti scherzi le provocò un piacevole calore al cuore.
Avrebbe voluto dire a Eric che sarebbe rimasta a parlare con lui per tutto il tempo che voleva, ma
era fuori dalla classe da quasi venti minuti, doveva rientrare o sarebbe finita nei guai con
l'insegnante.

- Mi piacerebbe – rispose – Ma adesso devo proprio andare... c'è un modo in cui posso contattarti
più tardi? –

- Ti basta leggere un brano del libro di fronte a uno specchio, così si aprirà un altro varco e potremo
vederci – spiegò il ragazzo.

Amelia annuì – Lo farò dopo la scuola – 

- Promesso? – domandò Eric.

- Promesso –

Uscendo dai bagni con il libro nascosto sotto la felpa, Amelia non riusciva a credere a cosa le era
appena successo. Aveva parlato con un ragazzo uscito da un libro! Un personaggio descritto sulla
carta era reale e voleva fare la sua conoscenza! Era così persa in quel pensiero che, mentre si
affrettava lungo il corridoio, urtò accidentalmente qualcuno.

- Scusa, non ti avevo visto – disse subito Amelia. Alzò lo sguardo per vedere chi aveva urtato e vide
che si trattava di Daniel, un ragazzo di un anno più grande che era tra i più popolari a scuola. La
ragazza l'aveva visto spesso in giro, ma sempre da lontano.

- Tu sei Cagnetta – disse Daniel studiandola da vicino.

- La dovete smettere di chiamarmi così – tutta la leggerezza che l'aveva invasa dopo l'incontro con
Eric sfumò in un istante, così come il sorriso che ne era derivato. Era ancora in quell'inferno
mascherato da scuola, era ancora la ragazza strana che tutti bersagliavano di dispetti.

- Dimmi come ti chiami, allora – replicò Daniel – Ti preferivo mentre sorridevi –

Lei non capì perché si ritrovò ad avvampare all'improvviso, mentre balbettava il suo nome in
risposta.

- Piacere mio, Amelia, ci vediamo in giro – il ragazzo riprese la sua strada lungo il corridoio e lei
rimase imbambolata a fissarlo finché non scomparve dietro la porta di un'aula, prima di ricordare
che era in ritardo.

Nel pomeriggio, Amelia andò in biblioteca come sempre, ma questa volta la prima cosa che fece fu
rintanarsi in bagno con il libro per mantenere la promessa fatta a Eric. Bastò che leggesse poche
righe per sentire di nuovo la sua voce.

- Sei tornata davvero – osservò.

- Sì – rispose lei chiudendo il libro e sollevando lo sguardo verso lo specchio – Lo avevo promesso.
E poi sei stato l'incontro migliore della giornata – pensò a Daniel mentre lo diceva, ma non ne parlò
– Sarebbe stato stupido non cercarti –

- Di solito non c'è nessuno che vuole parlare con me. È difficile trovarmi e quelli che ci riescono
poi hanno paura – spiegò Eric tristemente.

- Se può consolarti, nemmeno io ho qualcuno con cui parlare. Mi odiano tutti – continuò Amelia
sullo stesso tono.

- Io non ti odio – disse lui.

- E io non ho paura di te – replicò lei.

- Allora credo... sì, insomma... credo che potremmo essere amici – azzardò Eric.

- Potremmo... ma io non ho mai avuto un amico, non so come si fa amicizia – lo avvertì la ragazza.

- Nemmeno io, ma potremmo imparare insieme, sempre che tu ne abbia voglia – la sua voce aveva
una nota speranzosa.

- Ne ho voglia – si affrettò a dire Amelia.

- Bene! Allora da oggi abbiamo entrambi un amico! - esclamò lui sorridendo.

Da quel giorno, Amelia passava ogni momento libero a parlare con Eric, nascosta da qualche parte
con uno specchio. Aveva cominciato a riversare su di lui un fiume di esperienze vissute in tanti anni
e mai condivise con nessuno, gli raccontava dei suoi libri preferiti e scoprì che alcuni li conosceva
anche lui, perché c'erano dei libri nella sua stanza senza uscite. Ogni giorno era più difficile per lei
congedarsi da Eric perché doveva mettersi a studiare, tornare a casa, o andare a scuola. Leggeva un
brano ogni mattina davanti allo specchio della sua stanza, così poteva chiacchierare con lui mentre
si preparava per uscire. A scuola, durante le sue fughe nei bagni, ormai portava sempre lo stesso
libro, perché dieci minuti insieme al suo nuovo amico erano più confortanti di ogni libro che avesse
mai letto. Aveva persino iniziato a portare sempre con sé uno specchietto che aveva preso dalla
borsetta di sua madre, così Eric poteva tenerle compagnia anche in autobus, per strada o in classe.
Le bastava averlo vicino, anche se non potevano parlare nei luoghi affollati, perché così non si
sentiva più sola.

Un giorno, durante una noiosissima lezione di storia, lo specchietto da cui Eric faceva capolino era
appoggiato contro l'astuccio di Amelia. Lei disegnava distrattamente su un foglio bianco e ogni
tanto gli lanciava occhiate complici, per fargli capire che si ricordava della sua presenza anche se
non potevano parlarsi, mentre lui osservava attento ciò che prendeva forma sul foglio. La scuola era
più sopportabile se c'era Eric a farle compagnia, anche se Amelia non gli aveva mai parlato di ciò
che subiva tra quelle mura. Suonò la campanella della ricreazione, il professore raccolse le sue cose
e lasciò la classe abbastanza in fretta e, nel giro di pochi secondi, un ragazzino brufoloso si era già
avventato come un falco sul disegno di Amelia.

– Guadate! – urlò ai compagni – La Cagnetta ha un fidanzato! – subito le ragazze scoppiarono in
un'ampia serie di gridolini acuti e risate stridule, i ragazzi si avvicinarono per vedere il disegno,
mentre Amelia scattò subito in piedi per riprendersi ciò che era suo. Aveva disegnato una caricatura
di sé stessa insieme a Eric che stavano seduti vicini in autobus, le era venuto bene e non voleva che
quell'idiota lo rovinasse.

- Ridammelo! – urlò, ma il ragazzo teneva il disegno in alto sopra la sua testa, dove lei non poteva
arrivare nemmeno saltando, lo passò a un altro tipo, che lo passò al suo compagno di banco, e in un
attimo, l'opera di Amelia venne derisa, stropicciata e accartocciata, finché qualcuno non si stancò di
quel gioco e strappò il foglio in tanti piccoli pezzi che piovvero come coriandoli sulla testa della sua
autrice. Lei soffocò malamente un singhiozzo, afferrò lo specchietto sul suo banco e corse via,
urtando tutti quelli che cercarono di bloccarle il passaggio verso la porta dell'aula. La sua meta era
il bagno e sperava di arrivarci prima che il pianto avesse la meglio su di lei. Si sentiva ferita, anche
se fatti di quel tipo le capitavano sempre. Non riusciva a farci l'abitudine, non quando lo scherzo
del momento rovinava qualcosa a cui teneva. Si ritrovò a pensare a Eric. Cosa avrebbe pensato di
lei? Era stata patetica poco prima, si era resa ridicola sbracciandosi per quel foglio scarabocchiato,
magari anche lui l'avrebbe derisa... ne sarebbe stato capace? Non riuscì a trovare una risposta,
perché qualcuno le si parò davanti, interrompendo quel flusso confuso di pensieri.

- Amelia! -

Sentirsi chiamare per nome a scuola era così inusuale, che la ragazza dimenticò per un attimo di
avere le lacrime agli occhi e sollevò lo sguardo. Era Daniel.

- Che succede? Perché piangi? - sembrava davvero preoccupato per lei e questo la lasciò di sasso.
Se era stupefacente che un misterioso ragazzo dentro uno specchio si interessasse a lei, che lo
facesse un compagno di scuola lo era ancora di più.

- Sto in classe con degli idioti – rispose lei goffamente con le prime parole che riuscì a trovare.

- Mi dispiace – disse lui – Ora c'è la ricreazione, ti posso fare compagnia se vuoi -

Quella proposta sconvolse Amelia ancora di più – Non hai degli amici? - gli chiese, anche se sapeva
perfettamente che metà dei ragazzi a scuola erano amici di Daniel.

- Certo, ma ho sempre voglia di trovarne di nuovi – fu la sua risposta.

Il ragazzo le offrì una merendina alle macchinette e parlarono del più e del meno per una ventina di
minuti. Toccarono argomenti sicuri come la difficoltà delle materie, le stranezze del professore di
matematica e quanto fosse lunga la fila per un caffè al bar di fronte. Una volta finita la ricreazione,
non potevano dire di conoscersi meglio, ma Amelia apprezzò veramente quello sforzo. All'ora
successiva, la ragazza aveva educazione fisica, così camminarono insieme fino alla palestra e poi si
salutarono. Il sorriso di Daniel rimase impresso nella sua mente per il resto della giornata, non si
sentì più triste per il disegno finito in pezzi, né ebbe bisogno di appartarsi per cercare la compagnia
di Eric.

La settimana successiva fu strana, Daniel passava ogni giorno a salutarla e Amelia si sentiva come
se per la prima volta avessero acceso le luci in quella grigia scuola. Non aveva ancora trovato il
coraggio di parlare con Eric, perché si vergognava ancora di quello che era successo con il disegno,
ma si sentiva in colpa perché immaginò dovesse sentirsi molto solo in quella stanza vuota. Si
impose di farlo quel pomeriggio, dopo l'appuntamento con Daniel. In realtà non avrebbe dovuto
definirlo così, il ragazzo le aveva solo chiesto di fare un giro con lui dopo la scuola, ma Amelia si
sentiva comunque elettrizzata. Nessuno l'aveva mai invitata da nessuna parte.

Uscì in fretta dalla classe appena la campanella segnò la fine delle lezioni, non voleva che lui
aspettasse troppo. Raggiunse l'ingresso e Daniel era già arrivato, la salutò con un cenno della mano,
poi attraversarono insieme il viale che conduceva alla fermata dell'autobus.

- C'è una cosa di cui vorrei parlarti – disse il ragazzo. Lei si fece attenta – Mi ha fatto piacere
conoscerti meglio in questo periodo, perciò ho pensato di farti un regalo -

Il cuore di Amelia sussultò. Un regalo per lei? Non riusciva a crederci. Senza rendersene conto si
ritrovò ad avvampare, avrebbe voluto dire che non ce n'era bisogno e non poteva accettare, ma non
riuscì a trovare le parole, così lui le porse un sacchetto di carta verde mela che portava nella mano
destra e che Amelia non aveva notato fino a quel momento. Lei lo prese tra le mani, sperando che
lui non notasse quanto tremassero, lo fissò per qualche istante, poi, nonostante il disagio crescente,
lo aprì. Dentro trovò una T-shirt rosa confetto. Non era affatto nel suo stile, ma non vi badò troppo,
non aveva mai detto a Daniel di odiare quel colore e non poteva fargliene una colpa. La spiegò di
fronte a sé per guardarla meglio e vide che sul davanti c'era un disegno dipinto a mano con della
vernice per tessuti rossa: un grosso cuore paffuto, con le parole "Daniel e Amelia per sempre". La
ragazza rimase atterrita. Quel regalo era decisamente imbarazzante, ma lui ci sarebbe rimasto male
se lei glielo avesse detto. Non voleva che si sentisse a disagio come capitava sempre a lei, così si
sforzò di sorridere quando tornò a guardare il ragazzo.

- Grazie, Daniel. È un bel pensiero – sperò che lui non notasse quanto fosse a disagio, pensò di
inventarsi una scusa per andare via, ma poi il ragazzo prese la parola.

- Potresti indossarla? - le chiese - vorrei vedere come ti sta – sfoggiò un sorriso timido a cui Amelia
non seppe dire di no.

- Certo – gli rispose. La maglia era di almeno due taglie di troppo, ma lei usava sempre abiti larghi,
immaginò che Daniel l'avesse notato e avesse agito di conseguenza. Si sfilò lo zaino e la felpa,
posandoli a terra per un istante e infilò la T-shirt rosa sopra alla sua nera, soffocando la riluttanza
che provava. Era troppo impegnata a vergognarsi di quella maglietta per far caso a come il ragazzo
la stesse guardando, era troppo a disagio per smettere di fissare i ciottoli del viale. Si riscosse solo
quando sentì il click sospetto di una fotocamera e spostò rapidamente lo sguardo su Daniel. Il suo
sorriso ora aveva una nota completamente diversa, era furbo, con una sfumatura maligna che
Amelia aveva visto sul volto di tutte le persone che a scuola si erano sempre divertite a prendersi
gioco di lei. Teneva in mano il cellulare, con la fotocamera minacciosamente puntata verso di lei.

- Daniel... - riuscì faticosamente a dire, ma non riuscì a pronunciare la domanda che più premeva
per uscire dalle sue labbra: "perché?".

- Devo proprio ringraziarti – cominciò il ragazzo – Ambra mi ha promesso che sarebbe uscita con
me se ti avessi convinta ad indossare di tua spontanea volontà quella maglia gentilmente disegnata
da lei. Ho registrato la nostra chiacchierata e questa foto sarà la prova decisiva -

Amelia impallidì. Ambra era una sua compagna di classe, una di quelle bellissime e perfette, con un
sorriso fasullo sempre stampato sul viso. Anche lei si divertiva a renderle la vita difficile a scuola,
spesso si impegnava più di tutti gli altri.

- Quindi era solo un altro scherzo? - chiese la ragazza con voce tremante.

In risposta, Daniel rise sguaiatamente – Credevi davvero che volessi essere tuo amico e uscire
insieme a te? Sii realista, Cagnetta, chi mai vorrebbe stare insieme a una come te? Sei patetica,
nessuno vorrebbe mai averti intorno -

Amelia soffocò un singhiozzo con una mano, si strappò di dosso la maglietta e la scagliò ai piedi di
quello che aveva creduto essere un amico, poi recuperò in fretta le sue cose e corse via, con quella
risata che ancora le riecheggiava nelle orecchie. Non ricordava quanto tempo fosse passato
dall'ultima volta che aveva pianto in quel modo. Le bruciavano gli occhi e la gola, ma la cosa che
più le doleva era il cuore. Non aveva mai provato un dolore del genere, perché, non avendo mai
avuto un amico, non sapeva cosa si provasse ad essere tradita da qualcuno a cui teneva. Aveva
creduto in Daniel, si era convinta che fosse diverso, ma la verità era che in quella scuola erano tutti
uguali, tutti mostruosamente crudeli. Nessuno le avrebbe mai voluto bene, proprio come aveva
detto Daniel. Nessuno l'avrebbe amata in quel mondo.

A piedi ci mise un'ora a raggiungere la biblioteca, anche se corse finché non si ritrovò ad ansimare.
Entrò e, senza nemmeno salutare la bibliotecaria, corse al secondo piano, dove c'era il suo rifugio.
Piangeva ancora quando prese il libro dallo zaino e si diresse in bagno, dove c'era uno specchio
molto più grande di quello da borsetta che aveva in tasca. Lesse velocemente una frase e Eric
comparve subito di fronte a lei.

- Ciao – la salutò lui imbronciato, ma la sua espressione si fece subito preoccupata quando notò le
sue lacrime.

- Eric... mi dispiace tanto di non averti più cercato. Mi è successa una cosa orribile – singhiozzò e il
ragazzo protese impulsivamente una mano verso di lei, come se volesse toccarla, anche se sapeva di
non poterlo fare.

- Sono sicuro che riuscirai a fare un disegno ancora più bello di quello che quegli zotici hanno
strappato – cercò di consolarla, ma Amelia scosse il capo mentre si asciugava gli occhi con una
manica. Gli raccontò di Daniel e di come si fosse preso gioco di lei con una crudeltà che non
avrebbe mai creduto possibile. Di tutto ciò che subiva regolarmente a scuola e di come il fastidio di
tutti quei dispetti impallidissero di fronte al dolore che quel ragazzo le aveva inflitto. Eric ascoltò
attentamente, cercò di confortarla e di starle vicino, disse che avrebbe voluto essere dal suo lato
dello specchio per poterla abbracciare.

- Oh, Eric... vorrei tanto essere lì con te, così tu non saresti più da solo nella tua stanza e o non
dovrei più vedere quella stupida scuola – Amelia già pensava al giorno successivo, quando sarebbe
dovuta tornare in classe e affrontare un'orda di studenti che aveva visto quella foto scattata da
Daniel, perché lei sapeva che Ambra non avrebbe perso l'occasione di inoltrare a tutti quell'orribile
scatto.

- Un modo c'è – disse Eric – Avesti dovuto scoprirlo da sola, ma a te posso dirlo -

La ragazza lo fissò interrogativa.

- Leggi ad alta voce l'ultima frase del libro -

Amelia non chiese altre spiegazioni. Non le importava come sarebbe successo, né di poter tornare
indietro. Il suo desiderio più grande in quel momento era scomparire per sempre e Eric l'avrebbe
aiutata, l'avrebbe salvata. La frase conclusiva del libro recitava: "Se la storia di Eric è finita non
t'intristire, nella stanza si può entrare e mai più uscire". Lesse con voce tremante e con la vista
annebbiata dalle lacrime, ma pochi istanti dopo sentì il calore di un abbraccio, così confortevole e
rassicurante.
La bibliotecaria salì a controllare il secondo piano prima della chiusura. Trovò uno zaino
abbandonato su un tavolo e un libro posato sul pavimento del bagno. La copertina era bianca, con il
disegno stilizzato di un ragazzo che teneva per mano una ragazza e il titolo scritto a caratteri neri:
"Loro nello specchio". Non c'era scritto altro su quel volume, né sul fronte, né sul retro e persino le
pagine all'interno erano bianche. La donna se lo rigirò più volte tra le mani e borbottò perplessa.
Non aveva mai visto un libro come quello, nonostante ci fosse il marchio della biblioteca sul dorso.  

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