Afferro la Coca Cola nello scompartimento bibite e ne bevo un sorso, cercando di concentrarmi sulla strada quasi vuota. Non mi sorprende che a Edelwood manchino i turisti. Ripongo la bibita al suo posto e sento il cellulare squillare nella tasca anteriore del jeans nero.
Grugnisco infastidita e prendo il telefono, mentre tento di mantenere il controllo sulla macchina. Rispondo alla chiamata senza badare al mittente. Non ho abbastanza energia per interessarmi di questo.
"Lizzie!" sento gridare e in un attimo riconosco quella voce tanto familiare.
"Ehi." Sussurro, deglutendo. Da una parte gioisco, che mi abbia chiamata, dall'altra non ero pronta a tutto questo, così presto. Dovevo abituarmi gradualmente ad ogni cosa.
"Non ci posso credere." Riprende, e posso immaginarla sorridere stringendo i denti.
"Cosa?" chiedo, conoscendo già la risposta. Ho bisogno di sentirglielo dire ad alta voce. Non ci credo neanch'io, d'altronde.
"Che torni!" Strilla, con meno entusiasmo.
"Già."
"Quanto arrivi?" Continua.
"Sono per strada, Molly." Dico, notando il cartello di benvenuto sulla destra della strada, al confine del boschetto.
"Bene, bene." Ha il suo tono professionale. Si è stancata di cercarmi.
"Ci vediamo, okay?" Quasi bisbiglio e senza attendere risposta chiudo la chiamata. Non riesco a pensarci, di essere qui. Osservo le abitazioni rosse, una uguale all'altra e sospiro collegando le case con i loro propritari. Così mi trovo inconsapevolmente a sorridere, talvolta, ricordando persone ed eventi, che speravo di avere dimenticato. Eppure no. Le ricordo ancora.
Svolto a destra e parcheggio la mia vecchia automobile. Spengo il motore e faccio un respiro profondo. Chiudo gli occhi e mentalmente mi preparo a tornare a casa. Per davvero, sta volta.
Poi accenno un sorriso, non può essere così terribile. Prendo il borsone sul sedile posteriore ed esco, dirigendomi verso il portabagagli. Lo apro e prendo il trolley che ho comprato ad Hong Kong. Lo butto per terra e con fatica raggiungo la casetta prefabbricata che è stata la mia vita. "Quanto tempo fa?", mi chiedo e con sorpresa mi serve pensarci per ricordarlo. Ah, sì.
Due anni fa.
Due anni fa ero questa persona.
Sembra passata una vita e io visto il mondo, nel frattempo.
Respiro profondamente e busso al campanello, evitando di fare troppa pressione sul pulsante.
Aspetto per qualche minuto, quando la porta marrone si apre davanti a me, mostrandomi mia madre.
Eppure non sembra lei. Non sono mai stata in grado di immaginarla in un modo preciso, stabile. Lei cambiava sempre, ma io questa volta pensavo rimasse come prima per me.
Come sono egocentrica, penso, mentre osservo la donna di fronte a me.
Appare ringiovanita, le rughe sul viso che prima la invecchiavano tanto sono sparite e i capelli che era solita tenere boccolosi ora sono lisci, piastrati, e più chiari. È come se stesse meglio, a prima vista, di com'era prima.
Anche il suo sorriso, falso e provocatorio, che ha soppresso odio nei miei confronti per anni, ora riesce ad essermi amichevole, come se davvero mi volesse in questa casa.
Sospiro e abbozzo un sorriso, e ricambia. Non mi guarda nemmeno negli occhi, mi scruta solo come se fossi ancora lontana chilometri, anche se sono qui, per davvero.
Non ci abbracciamo, non l'abbiamo mai fatto, d'altronde, e prende la mia valigia trascinandola dentro casa.
La trasporta con gentilezza fino alla mia camera e ringrazio il suo gesto con un sorriso. Mia madre si gira ed evita il mio sguardo.
Anche la casa è cambiata. È stata rimordenata e i vecchi mobili sono stati sostituiti con nuovo arredamento, più comodo e più costoso, come aveva una volta sostenuto Molly per telefono, raccontandomi le novità.
Mia madre vuole scoprire ogni cosa, glielo leggo negli occhi, è curiosa di capire che sono stata male, senza di lei. Vuole sapere, sentirselo dire, che ho sbagliato ad andarmene, che sono stata stupida ad abbandonarla.
"Come mai sei tornata?" chiede alla fine, dopo un intenso scambio di sguardi.
"Ne avevo bisogno." Dico, mordendomi il labbro.
"È stato Jaden?"
Dio, Molly non poteva stare zitta?
Perchè andava raccontando ogni cosa a mia madre?
"Jaden? Quello di Glasgow?" Chiedo, cercando di essere indifferente.
"No, mi riferivo a un altro..." finge di pensare e si gratta il mento come in contemplazione della memoria "Forse era Luis? Di Parigi?"
Non le rispondo, ma dentro di me rido. Luis. Oh, Luis. Com'era simpatico quel francese. Era un meraviglioso modello di Calvin Klein.
"Pensa quello vuoi." Ribatto, non mi interessa quello che crede.
"O era magari Tomas? Il ragazzo canadese?"
"Cosa vuoi infierire?"
"Che hai cercato di guarire le tue ferite come ho fatto io!" Spiega un attimo dopo, gesticolando.
"Non sono come te, mamma."
"Me lo auguro, Elizabeth."
Mia madre si siede sulla sedia e si prende la testa fra le mani, io mi guardò intorno. Devo dirglielo. Dovrò farlo. Ha bisogno di sapere, ne ha il diritto, alla fine. E io ho bisogno di dirlo a qualcuno. Sono talmente disperata da parlarne con lei?
Chi altri, in ogni caso, potrebbe volere parlare con me?
"Mamma," dico decisa "ti devo parlare."
Mia madre, finalmente, mi guarda e aggrotta le sopracciglia.
"È successa una cosa, ma non è quello che pensi."
STAI LEGGENDO
Lovers
RomanceLizzie è nessuno, alla costante ricerca di sè stessa, da quando ha perso la sua vita. Non ha mai avuto certezze, e ha avuto paura di averne, perchè, se ne avesse avute e fossero state negative allora avrebbe dovuto convivere con esse. Così scappa...