2.
Il volo da Londra a Roma durò più o meno due ore e mezza. Maggie scese dall'aereo soltanto con lo zaino di pelle in spalla e il berretto da baseball in testa. Faceva un caldo terribile; fortunatamente aveva indossato uno dei suoi vestitini a fiori che molti italiani parvero gradire, fischiando al suo passaggio come complimento.
Maggie si infilò le cuffie del walkman e salì sul pullman che l'avrebbe condotta alla stazione Termini di Roma. Ascoltò Innuendo, dei Queen, e si appisolò per qualche minuto finché il vicino di sedile non la svegliò, ricordando che la ragazza gli aveva raccontato che sarebbe scesa alla stazione.
Lei ringraziò masticando un pessimo "Grazie mille" dall'accento molto inglese e scese. La stazione era caotica e affollata; Maggie cercò il numero del suo treno sul tabellone e riuscì a salirvi appena in tempo. Le aspettavano altre due ore e mezzo di viaggio. Trovò un vagone dove era sola e stese le gambe sulla poltrona davanti; poggiò la nuca al finestrino e prese a pensare, osservando il via vai del paesaggio italiano. Non era mai stata in Italia: le piacevano gli italiani, li credeva tutti come Milo. Lui le aveva detto che non avrebbe mangiato la vera pizza italiana in toscana e Maggie ci era rimasta male, lei che credeva che la pizza si mangiasse ovunque e sempre in quel paese. Così la ragazza aveva deciso, dopo aver studiato vari libri di ricette toscane, che avrebbe comprato dei cantuccini e avrebbe provato a cucinarli una volta nella Maledetta. Pensò questo e molte altre cose, nel silenzio e nel caldo soffocante del treno.
Scese dal vagone saltellando e si calò gli occhiali da sole sulla punta del naso.
La stazione di Orbetello era davvero piccola. Dovette salire una rampa di scale e si ritrovò direttamente in strada, dopo aver oltrepassato un tornello rotto e aver speso qualche spiccio in un distributore che vendeva palline di gomma.
Quando aveva fatto il cambio di valuta, all'aeroporto, si era trovata con tantissime banconote: aveva scoperto che le lire italiane valevano molto meno delle sterline e per qualche attimo si era sentita ricca.
"Maggie!" udì la voce di Milo e un clacson suonare. Alzò gli occhi su una Lambretta bianca e il ragazzo le corse incontro per abbracciarla.
Era abbronzato; aveva gli zigomi arrossati sotto le lenti degli occhiali e indossava la stessa maglietta a righe bianche e blu che aveva Jo.
"Sei un marinaio italiano!" gli disse Maggie baciandogli la guancia e infilandosi il casco che lui le porse.
"E tu sei bellissima!"
Si abbracciarono ancora e partirono a bordo del motorino. Attraversarono la calma e piatta laguna e Maggie trovò spettacolare il mulino abbandonato che ne emergeva.
"Ho un dipinto di quello, te lo mostro a casa" le gridò Milo per combattere il vento che avevano contro.
Ansedonia era una località tranquilla e arroccata su un promontorio. Era un complesso di ampie ville con giardino, "Questa casa l'ha costruita mio nonno" le spiegò il ragazzo parcheggiando sotto la tettoia di paglia della loro abitazione.
La signora Colasanti li aspettava sull'uscio e brandiva un sorriso dolce, dolce come quello di Milo.
"Sono Maggie" la ragazza si presentò in italiano: aveva studiato qualche frase su una guida turistica per fare bella figura. La donna la strinse a sé come la conoscesse da una vita e la portò a fare un giro della casa. C'era un piccolo percorso fatto da ampi ma bassi gradini in pietra, in mezzo a un grande giardino: questo era delimitato da siepi e qua e là c'erano gli ulivi su cui Milo le aveva raccontato che si arrampicava quand'era triste.
La casa era piccola, molto piccola: la signora Colasanti sembrò scusarsi per quanto fosse piccola ma era anche bellissima e accogliente.
Il signor Colasanti era sul patio, intento a preparare il barbecue: "Preparatevi, vi sto cucinando le bruschette con le salsicce!" disse al figlio, che prese Maggie per mano e la portò nella stanza dove avrebbero dormito insieme.
"È molto bello qui" esclamò estasiata la ragazza, spalancando le tende della porta-finestra che affacciava sul giardino. "Grazie" aggiunse, cingendo il busto dell'amico con le braccia.
Lui arrossì e le propose una sigaretta in giardino.
Lì chiacchierarono dei suoi nuovi quadri e della borsa di studio persa; di come si sentiva Milo a compiere ventun anni; di quanto gli mancasse Jacqueline e la Maledetta.
"Domani mi porti al mare?" gli chiese lei, interrompendo una conversazione che stava sfociando nell'esistenzialismo e in qualche strana dottrina filosofica.
In quei giorni Toscani, Maggie riuscì a mangiare quasi ogni piatto tradizionale della Maremma e anche qualunque frutto di mare offerto dal piccolo e squisito ristorante dello stabilimento.
La madre di Milo la adorava: più volte chiese al figlio perché quella ragazza inglese apparisse tanto triste e fu solo allora che Milo se ne accorse.
"Perché sei triste?" le domandò un pomeriggio in spiaggia, andandole incontro sulla riva e avvolgendola con l'asciugamano spugnoso.
"Perché sei triste?" le domandò una sera, spargendole la crema idratante sulla schiena ustionata.
"Perché sei triste?" le domandò al tramonto del ventisette Giugno, accampati sul punto più alto del promontorio, lei che teneva una sigaretta tra le dita e una bottiglia di Peroni, lui che le rubava qualche tiro e qualche sorso abbozzando uno schizzo del cielo rosseggiante.
"Milo, non sono triste!" replicò per la terza volta lei, scoppiando a ridere e cingendo le sue guance barbute per baciarlo sul naso.
"Sicura?"
"Sicurissima: sto proprio bene qui. Anche se sono tutta ustionata, è un paradiso" mormorò estasiata dal paesaggio.
La mattina seguente, quella del ventotto Giugno, la ragazza si rigirò nel letto e osservò divertita l'amico russare nel pigiama celeste.
Si alzò in punta di piedi e raggiunse il patio: lì i genitori avevano allestito il tavolo di legno e già messo le candeline sulla torta ai pinoli.
Maggie poggiò i pacchetti sulla tovaglia ben pulita e si stese sull'amaca, accettando di buon grado la tazza di caffè offerta dalla signora Colasanti e accendendo una sigaretta.
Si dondolò socchiudendo gli occhi e ascoltando il rumore delle cicale.
"Buon compleanno!"
Le voci in coro dei signori Colasanti la fecero sobbalzare e scattò in piedi applaudendo alla figura dell'amico che, stordito, assonnato e in pigiama, si infilò gli occhiali arrossendo.
Lo festeggiarono nella tranquillità della mattina e gustarono la torta crema e pinoli. Milo scartò i regali e adorò il set di pennelli dell'amica e anche il libro di Schopenhauer.
Verso mezzogiorno, mentre sparecchiavano, udirono una voce femminile nel viale fuori dalla villa.
Milo inarcò le sopracciglia e si apprestò a raggiungere il cancello. Quando Maggie si affacciò per capire chi fosse, il su sguardo si addolcì intravedendo l'abbraccio tra il ragazzo e Jackie.
Scese a salutarla e la aiutò a trasportare i suoi bagagli; la signora Colasanti sembrò adorare anche Jacqueline, che si presentò offrendo una bottiglia di whiskey e sfoggiando un piccolo piercing al naso.
"Ma dormiamo davvero tutti insieme?" Maggie domandò sottovoce a Milo, prendendolo per mano e trascinandolo nel retro della villa, l'unico luogo dove il giardino non era curato e somigliava a una selva.
"Certo, non preoccuparti!" le rispose il ragazzo.
Maggie gli accarezzò una guancia e sorrise.
"Domattina vado via, davvero. Vi lascio al vostro amore: è giusto così! Sono stata ospite fin troppo e ho dato fondo a ogni ristorante del posto" gli disse ridacchiando ma, dentro, con tristezza.
Lui provò a farla dissuadere ma non ci riuscì. Quella sera festeggiarono Milo con un falò alla spiaggia libera e si addormentarono tra coperte e sigarette ben prima dell'alba.
3.
Tornarono a casa con il puzzo della carbonella, si fecero una veloce doccia e accompagnarono Maggie in stazione.
"Sei proprio sicura?" le domandò Jackie stringendole le mani.
"Assolutamente! Non mi annoierò, tranquilli!" asserì convinta Maggie. Mentiva. Non aveva idea di dove sarebbe andata.
Così passeggiò per la stazione curiosando tra i treni in partenza. Sedette su una panchina e sfogliò la sua agenda: le cadde in terra il foglio su cui aveva scritto l'indirizzo di Leo e, d'improvviso, capì cosa avrebbe fatto.
Provò a parlare con un dipendente della stazione, chiedendogli come poteva arrivare a Gordes, in Provenza: questo le disse che sapeva solo che da Genova era facile raggiungere la Francia e ciò che Maggie fece fu salire sul primo treno per Genova.
Ci mise cinque ore e mezza; dovette scendere a Pisa, a La Spezia e a un'altra stazione di Genova per prendere le coincidenze e arrivare alla stazione Piazza Principe.
Era partita con il sole di mezzogiorno e arrivò stremata quasi alle sei del pomeriggio.
Decise di mangiare un panino e passeggiare per il porto della città; quando la stanchezza si fece sentire, trovò un bed and breakfast e si addormentò vestita sul letto a molle e tra le pareti color senape.
Si svegliò alle undici della mattina dopo: si riassettò e pagò quel poco per l'alloggio. Tornò in stazione e studiò quale biglietto avrebbe dovuto comprare: acquistò anche una guida per la Provenza perché solo in quella regione avrebbe affrontato i veri problemi del viaggio.
"What you doing in Italia?" le domandò un ragazzo in maccheronico inglese, sedendole accanto sul treno e facendole nascere un sorriso.
"Veramente sto andando in Francia" Maggie gli mostrò la guida della Provenza.
"Pazzesco! Anche io!"
"Beh, questo treno è diretto in Provenza..." ridacchiò lei, e il ragazzo assentì comprendendo quanto scontata fosse la sua battuta. Questo ragazzo si chiamava Giovanni ed era molto simpatico. Aveva degli occhi che sprizzavano vita e indossava un'espressione sveglia. Le fece compagnia per le cinque ore di treno che la portarono fino a Marsiglia: Maggie lo ascoltò divertita, riconoscendo nel suo accento la cadenza di Milo. Nonostante fosse italiano però non poté evitare di guardarlo e pensare a Jo.
Giovanni le raccontò di esser scappato dalla sua famiglia, che da lui pretendeva troppo, e di aver intrapreso un viaggio per conquistare l donna della sua vita, a Marsiglia.
"Somigli al mio migliore amico" lo interruppe, scrutandone i capelli scuri e gli occhi nocciola "Lui è spagnolo, ma siete molto simili."
"Allora deve essere un bel tipo"
La ragazza scoppiò in una risata imbarazzata.
"È il mio tipo preferito."
"E perché non sei con lui ora?"
"Scusa?"
"Perché viaggi tutta sola?" chiese ancora "Non preferiresti viaggiare con lui?"
Maggie si strinse nelle spalle. "Non lo so, lui è in giro con amici, non so neanche quando lo rivedrò." fu la prima risposta che le venne in mente.
"Secondo me stai mentendo" Giovanni le ammiccò "Non me la racconti bene su questo spagnolo. È il tuo ragazzo?"
"Non ne ho idea" lei rivolse lo sguardo verso il panorama verdeggiante che rendeva i suoi occhi più preziosi di uno smeraldo.
"Beh, se questo spagnolo non è disposto a salire su un treno e scappare per te, allora non è quello giusto."
Quel Giovanni scese alla stazione di Marsiglia e la salutò lasciandole il suo numero di telefono. Maggie arrivò dopo tre ore a Gordes.
Era un villaggio poetico, dalle case in pietra e dai viali sdrucciolevoli e un po' scoscesi.
Maggie non parlava una parola di francesi e gli abitanti di lì sembravano ricambiare il difetto. Finirono per discutere nella lingua comune, quella dei gesti, per farsi indicare poi un nel B&B dove poter soggiornare.
Provò anche a chiedere indicazioni per l'abbazia di Senánque; era vicino a quel posto che sorgeva la tenuta dei Brunet.
Finì per dormire l'intera sera sul secondo letto a molle in due giorni e in pareti stavolta color carta da zucchero.
Fece colazione con dei croissant caldi, offerti dalla grassa signora del B&B e ricordò le vaghe informazioni di un tabaccaio per l'abbazia. Così, s'incamminò verso il meccanico indicato e tossicchiò non appena entrò nell'officina.
Si avvicinò al quarantenne con la salopette e gli indicò la sua meta su una cartina, mostrandogli anche venti franchi. Il cambio da lire a franchi era stato meno conveniente di quanto Maggie avesse potuto immaginare.
"Con piacere, mademoiselle" rispose sorridendo il meccanico, lanciando la chiave inglese al suo aiutante e agguantando le chiavi di un vecchio pick-up.
Maggie godette il sole dell'estate francese e chiacchierò con l'uomo, che in un inglese scivoloso le raccontò di avere una figlia molto simile a lei. Quando la lasciò davanti all'abbazia, si raccomandò con la ragazza di non restare al buio nei campi di lavanda, perché non era sicuro e poteva calare il freddo. Lei lo salutò con gli zigomi arrossati e si trovò sola nella vastità della campagna.
"Sta a pochi minuti dall'abbazia; per arrivarci inciampo sempre su un maledetto sentiero di strani sassi scivolosi" Leo aveva raccontato una volta a tavola, descrivendo la sua tenuta di campagna. Maggie, guardando sempre dove metteva i piedi, trovò quel sentiero.
Lo percorse fermandosi a scattare qualche foto alla lavanda e percependo il vento caldo tra i capelli. Infine, intravide un grande casale in pietra: "Ti ho trovato!" esclamò ad alta voce, perché tanto poteva sentirla solo la lavanda. Corse per tutto il sentiero e a pochi metri dalla meta inciampò, ma non se ne preoccupò. Continuò a correre e bussò ritmicamente alla porta.
Questa si aprì e il viso tondeggiante di Leo s'illuminò di sincera sorpresa.
"Pulce!" la accolse con un sorriso e con un abbraccio la sollevò da terra. Poi le scrutò le ginocchia sanguinanti.
"Hai percorso il sentiero maledetto?" rise, portandola per mano all'interno e presentandola subito a sua madre e sua sorella. Di nuovo, Maggie si sentì a casa.
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La Maledetta
RomanceÈ il 1991, Jo è di pessimo umore, i suoi coinquilini, invece, non fanno altro che ridere; una storia di amicizia e amore tra i lampioni di Cambridge, una storia di vita.