-16- fragranza di vaniglia

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I due ragazzi si svegliarono in mezzo alla notte, entrambi con la schiena dolorante per la posizione scomoda e le gambe formicolanti. Si guardarono con occhi mezzi chiusi, ancora leggermente pesanti per la stanchezza. Guardarono entrambi l'orario sull'orologio appeso alla parete e poi il televisore che ormai mandava in onda solo televendite di chissà quale prodotto.

Daichi si alzò, facendo attenzione a non far cadere dal suo lato il grigio, che sembrava ancora mezzo addormentato, e spense la tv. Si girò a guardare il ragazzo che si era autoinvitato a casa sua e sospirò piano. Era tardi, per strada presumibilmente non c'era un'anima e le temperature probabilmente erano al minimo storico fuori da quella casa.

Ci pensò per un istante e si convinse che non c'era altra soluzione.

"vuoi rimanere a dormire qui?" chiese mantenendo la voce bassa, come a non voler svegliare del tutto il grigio. Quello alzò il viso, aprì un po' di più un occhio e poi sorrise.

"non lo stavo già facendo?" chiese sarcastico, mentre si copriva meglio con la coperta dalla dolce fantasia infantile.

"se stai comodo puoi rimanere a dormire qui, oppure potresti sdraiarti su un vero letto" Daichi alzò le spalle e lanciò il telecomando sul divano, poco distante da Sugawara.

"non hai paura a lasciar dormire uno sconosciuto a casa tua?"

"che intendi?"

"potrei ucciderti e rubarti tutti i soldi"

"tu?"

"io! Perché, cosa ho che non va?"

"ehm, la stazza? Non vinceresti mai contro di me" il moro rise e si diresse verso la propria camera da letto. Sugawara approfittò di quel momento che gli dava le spalle, gli corse dietro e gli saltò sulla schiena prendendolo alla sprovvista. Daichi lo sorresse, non cadde, come aveva sperato il grigio, anzi lo afferrò da sotto le ginocchia e lo portò sulle spalle fino alla camera dove c'era il letto a una piazza e mezza, si sarebbero dovuti stringere, ma poco importava, Sugawara era abbastanza magro da non occupare troppo spazio vitale.

Quando il sole sorse, Daichi aprì gli occhi, piano per abituarli alla luce fioca che passava attraverso la serranda abbassata. Sentiva il braccio indolenzito e, quando si girò, notò che Sugawara durante la notte gli si era avvicinato andando a stringersi contro il suo fianco, poggiando appunto la testa sul suo bicipite.

Piegò il braccio e immerse la mano nella chioma morbida color argento. Giocò con le ciocche chiare girandosele intorno alle dita. I polpastrelli si lasciarono solleticare e un senso di leggerezza avvolse il corpo del moro. Portò il naso lì, dove giocherellava con le dita, e inspirò il profumo di quel ragazzo, in un primo momento non riuscì a distinguere le fragranze, ma poi percepì una netta nota dolce di vaniglia. Inspirò ancora premendo il naso sulla testa del grigio e si riempì i polmoni di quel profumo dolce, così simile a quello di un muffin appena sfornato.

Vide il ragazzo muoversi appena e mugugnare nel sonno, sorrise per quanto fosse tenero in quel momento, ancora non poteva crederci di avergli urlato contro tempo prima. Sfilò piano il braccio da sotto la testa di Sugawara e si alzò facendo meno rumore possibile.

Preparò la macchinetta del caffè e accese il fuoco. Rimase per un po' a fissare la fiammella che piano riscaldava l'acciaio dentro al quale c'era l'acqua e poi venne risvegliato da quello stato di trance da un rumore dietro di sé. Si voltò e trovò il grigio in piedi davanti alla porta della cucina. Indossava i suoi pantaloni della tuta e una sua felpa; glieli aveva dovuti prestare perché altrimenti si sarebbe ritrovato a dover dormire con i jeans e non lo aveva ritenuto un modo comodo per dormire.

Lo osservò mentre con la mano chiusa a pugno si strofinava un occhio e piano sbadigliava. Sorrise a quella vista, sembrava davvero un bambino di otto anni, anche nei modi di fare da appena sveglio.

"siediti che il caffè è quasi pronto" disse indicandogli una sedia posta in ordine intorno al tavolo di legno. Il grigio si lasciò cadere sulla sedia, incrociò le braccia sul tavolo e posò la testa sulle braccia, chiudendo di nuovo gli occhi e addormentandosi all'istante.

Solo l'odore del caffè appena fatto lo destò dal sonno. Con gli occhi mezzi chiusi avvicinò la tazzina fumante a naso e ne inspirò la fragranza. Ci mise dentro due cucchiaini colmi di zucchero e poi lo mandò giù a piccoli sorsi.

"una volta ti farò vedere casa mia" disse portando di nuovo la tazzina sul piattino e facendoli tintinnare al tocco. Alzò lo sguardo e incontrò quello interrogativo del moro seduto dall'altra parte del tavolo.

"ci sono stato a casa tua"

"quando?"

"uno dei primi giorni che ci siamo visti"

"ah, sì, giusto" rispose a bassa voce chinando il capo. Si alzò dalla sedia e diede le spalle al moro. Si incamminò verso la camera da letto e, quando tornò, era già rivestito e pronto per andarsene.

"già vai via?" chiese Daichi che quasi si era abituato ad averlo lì, nonostante non fossero passate nemmeno dodici ore da quando era arrivato in quella casa.

"sì, in ospedale staranno dando di matto perché sono sparito"

"in ospedale?"

"non mi piace stare lì, ma ormai devo rimanerci anche a dormire, diciamo che sono ricoverato..." sospirò e distolse lo sguardo "...togliamo il diciamo, sono stato ricoverato quattro giorni fa ed è da allora che non dormivo così bene come ho dormito qui con te" fu sincero all'inverosimile.

Diede le spalle al moro e si diresse all'ingresso. Non diede la possibilità a Daichi di fermarlo o di richiamarlo indietro, si chiuse la porta di casa dietro e se ne andò, con direzione l'ospedale.

Daichi rimase senza parole, non aveva saputo che rispondere a quella rivelazione. Sugawara ormai viveva in ospedale, aveva compreso che odiasse quel posto, ma a quel punto era obbligato a starci di giorno e di notte. Lui non sapeva cosa avrebbe potuto fare per alleviare un po' la malinconia del grigio, non aveva idea di come affrontare quell'evento. Di nuovo c'era qualcuno chiuso in ospedale, ma lui non aveva il coraggio di ricominciare la routine a cui aveva dato vita quando era stata la nonna ad essere ricoverata.

Mandò indietro la testa e chiuse gli occhi sbuffando in direzione del soffitto.

-cosa significa tutto questo? Perché ricoverarti? La tua malattia è peggiorata? Qual è la tua malattia?-

Se ne andò in bagno e aprì il getto della doccia. Lasciò scorrere l'acqua finché non divenne calda e appannò lo specchio. Si mise sotto l'acqua bollente e lasciò che gli sciogliesse i muscoli tesi. I capelli aderivano alla fronte e alle tempie, i polpastrelli iniziavano ad assomigliare ad uva passa per le piccole rughe e le spalle si arrossavano sotto la forza del getto caldo.

Si girò e si sciacquò il viso, non riusciva a ragionare, la mente non era lucida come avrebbe voluto e le idee su come agire in quella situazione gli sfuggivano.

Chiuse con forza il rubinetto, quasi fosse arrabbiato con la doccia stessa, e uscì legandosi un asciugamano in vita. Passò la mano sullo specchio appannato e osservò il proprio riflesso. Aveva ripreso il peso perso dopo la morte della nonna e le occhiaie stavano scomparendo grazie alle ore di sonno recuperate. Sospirò e si strofinò gli occhi, come illudendosi di poter scorgere qualcun altro il quello specchio, qualcuno che non fosse lui, qualcuno su cui scaricare tutti i suoi problemi.

Quando riaprì gli occhi, come era ovvio, rivide se stesso riflesso e sbatté la mano contro la ceramica bianca del lavandino. Il freddo di quella superficie liscia lo fece sussultare e tornare alla realtà, lui non c'entrava nulla con ciò che stava accadendo a Sugawara e non doveva farsi coinvolgere più di quanto non fosse stato già coinvolto. Doveva allontanarsi da quel ragazzo prima che diventasse troppo tardi, prima di legarsi a qualcuno che era inevitabile perdere. 

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