You keep me right.

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Continuavo a chiedermi, quella mattina come molte altre, perché mi ostinassi a fare quello che in quel momento stavo facendo: inseguire un tipo che amava auto definirsi un "sociopatico iperattivo" in giro per le strade di Londra, senza sapere neppure da che parte questa storia mi avrebbe portato questa volta.
Ero talmente preso dalle mie solite e ormai chiaramente inutili considerazioni che, quando questi si fermò di colpo davanti a me, per poco non andavo a sbattergli contro.
"Sherlock, mi dici dove diavolo stiamo andando?"
"Silenzio", mi rispose. Dopodiché riprese a correre - okay, okay... forse stava solo camminando ma io e le mie gambe dovevamo correre per seguire lui e le SUE di gambe, lunghe qualcosa come mezzo metro più delle mie.
"Ma che... SHERLOCK" gli urlai, riuscendo finalmente a superarlo e a mettermi sulla sua strada. "Potresti gentilmente spiegarmi?"
"Oh John, ti invidio tantissimo" se ne uscì.
"Mi invidi?"
"La tua mente. Così placida, lineare, quasi inutilizzata." detto questo, tornò a camminare come se non avesse appena insultato me e la mia intelligenza.
Portai gli occhi al cielo e decisi che ormai avevo camminato (corso) fino a quel punto, tanto valeva andare avanti.
Non so come ci riuscisse, come riuscisse ad essere così... così Sherlock. Anche quando ti insultava, lo faceva in modo così schietto e "da lui" che non riuscivi a tenergli testa neppure volendo. E io non volevo.

Quella mattina mi ero svegliato col profumo del caffè appena fatto e mi ero chiesto per un attimo se fosse stato Sherlock a farlo... ma poi sentii la voce di Mrs. Hudson chiamarmi e ritornai alla realtà, una realtà in cui se fosse per Sherlock attività futili come bere o mangiare sarebbero state dimenticate dal genere umano, grazie all'invenzione di un nonsobenecosa che avrebbe garantito la sopravvivenza anche senza di esse. Così mi alzai, mi vestii con uno dei miei soliti maglioni e mi accinsi a raggiungere Mrs. Hudson, convinto che ormai Sherlock fosse bello che andato, perso nel suo palazzo mentale o per le strade della città a cercare indizi per l'ultimo caso che aveva attirato la sua attenzione; ma lui era lì, concentrato a fissare la porta della mia stanza (e ora me, che ne avevo appena varcato la soglia).
"Ehm... ti serve qualcosa?" tentai.
"Pranzo?" chiese dopo un attimo, semplicemente.
Alzai un sopracciglio, confuso. "Pranzo?"
"Si, non è questo che fate voi altri? Mangiare, parlare, mangiare, bere, parlare, blablabla..." iniziò lui.
"Okay pranzo, capito." tagliai corto. "Tu non mangerai vero?" chiesi, ormai abituato ai pranzi o alle cene passati a mangiare e osservare lui e la sua intelligenza all'opera, alla continua ricerca di indizi, connessioni.
"Ovviamente no."
"D'accordo", dissi e feci per andarmene.
"Ma prima devi venire con me in un posto" decretò piatto.
"Ah... cioè?"
Fece due passi avanti, guardandomi dritto negli occhi, ed io mi sentii improvvisamente nudo. Nudo, di fronte all'uomo più intelligente che avessi mai avuto l'onore (o la sfortuna?) di conoscere e che, ebbi modo di rendermi conto, stava cercando di leggermi. Glielo avevo visto fare molte volte, lo aveva fatto con me fin dalla prima volta che ci vedemmo; ma ora era diverso, ora ci metteva quasi impegno e non osservava i vari particolari, guardava dritto nei miei occhi come a voler leggere direttamente la mia anima. Sembrava volesse arrivare a capire qualcosa che fino ad allora non aveva ancora capito di me, ma la cosa era assurda da ogni punto di vista. Lui sapeva. Tutto. Sempre. Così, quando spostò lo sguardo per raggiungere al piano di sotto Mrs. Hudson che continuava a chiamare, ne fui infinitamente sollevato.

Eravamo giunti in un vicolo cieco e Sherlock non faceva altro che andare avanti e indietro con le mani unite portate contro il mento, atteggiamento che assumeva ogni qualvolta era concentrato su qualcosa. Ad un certo punto smise di camminare come un forsennato e si accese una sigaretta. Così, tranquillo. Sempre tutto normale con gli Holmes.
"Dove diavolo le hai trovate quelle? Io e Mrs. Hudson le avevamo nascoste die-"
"Dietro il libro di astronomia." continuò luì, cacciando una nuvola di fumo bianco dalle labbra su cui indugiai un attimo prima di rispondere.
"Avevamo pensato che-"
"Che il nicotinomane che non sa nulla sul sistema solare ma
tutto sulle diverse tipologie di tabacco - quello sarei io comunque, ciao - non avrebbe MAI pensato di andare a cercare lì", terminò ed io non potei far altro che arrendermi e lasciargli fumare quella dannata sigaretta, che ora stava riportando a quelle sue dannate labbra.

"Mrs. Hudson noi stiamo uscendo, pulisca un po' già che c'è" disse Sherlock prendendo il suo cappotto e accingendosi all'uscita.
"Non sono la vostra governante" ribadì lei.
"Sherlock"
"Cosa, John?"
Gli lanciai un'occhiata, che sapevo avrebbe capito significare "sii un po' meno Sherlock e comportati bene, almeno di mattina".
"Oh, d'accordo. Mi dispiace Mrs. Hudson. Ora andiamo e basta" disse infine ed io mi ritenni alquanto soddisfatto, perciò stavo per seguirlo quando la nostra non-governante richiamò la mia attenzione.
"John... volevo solo augurarti buon compleanno" e mi rivolse uno dei suoi sorrisi a piena dentiera (oh, andiamo, è impossibile che quei denti fossero veri!).
Compleanno?? Davvero? "Oh... grazie" dissi infine, sincero.
"Oh tesoro, non dirmi che te ne eri dimenticato" esclamò, ma in realtà non sembrava molto sorpresa... perciò per un attimo mi chiesi se davo normalmente l'impressione di uno che si scorda del proprio compleanno.
"Ovvio che l'aveva dimenticato: il giorno del proprio compleanno non è altro che un giorno qualunque in cui ogni cellula del nostro corpo inesorabilmente invecchia, ogni istante di più" asserì l'altro. "Ora, Mrs. Hudson, se vuole scusarci..." e mi prese per il polso, trascinandomi letteralmente in strada.

Ed ora eccomi qui, a guardarlo fumare tranquillo una sigaretta in un vicolo cieco.
"Shelock, mi sto seriamente incazzando ora" dissi stringendo i pugni e cercando di assumere l'espressione più corrucciata del mio repertorio.
Lo vidi cedere. La mano con cui stava tenendo la sigaretta ebbe un tremito. "Okay, d'accordo... ehm...". Sherlock Holmes senza parole, ero quasi sconvolto. "Sì, ecco... volevo farti anche io gli auguri, ma volevo farlo bene e soprattutto volevo farti un regalo. Volevo che ti piacesse, così ho chiesto informazioni su di te a chi ti conosce meglio di me e-"
"Nessuno mi conosce meglio di te, Sherlock" lo fermai.
Lui sembrò valutare le mie parole per qualche secondo. "Oh". Oh? Oh cosa?! "Beh, comunque non ho trovato nulla da regalarti che mi paresse significativo e per questo voglio donarti ciò che per me è quanto di più prezioso esista al mondo: la verità. Ma la
verità a volte è difficile da accettare... e lo sono ancora di più le conseguenze che porta con sé", disse guardando la sigaretta consumarsi a poco a poco tra le sue dita.
Il mio cuore probabilmente prese a battere così veloce che non riuscivo più a sentirmi i pensieri. "Sherlock, ma di cosa stai parlando?"
"Tu. Sempre tu, John Watson. Tu mi mantieni sano*" iniziò a dire, avvicinandosi come aveva fatto quella mattina... e improvvisamente mi resi conto di ciò che aveva visto nei miei occhi poche ore prima: le mie pupille si erano dilatate. Capii perché mi aveva preso per il polso uscendo di casa: per sentire i miei battiti. Infine, mi resi conto di una cosa: ero inequivocabilmente innamorato di Sherlock Holmes e ora avevo solo paura di ciò che stava per dire, cioè che lui si considerava sposato con il suo lavoro e robe di questo tipo, perché io non potevo perdere il mio migliore amico, l'unico che mi conosceva davvero più di ogni altro e, ora lo sapevo, anche più di me stesso.
Poi lui se ne uscì con un "Ti amo, John. È questa la verità" e io ripresi a respirare, il mio cuore riprese a battere e le mie labbra si posarono sulle sue.

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* "You keep me right".

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