No, non può essere, non mi do pace. Non può essere svanito nel nulla, non può avere smesso di amarmi da un momento all'altro, non può. Lui adesso tornerà da me, ne sono sicura. Forse è meglio tenere con me il telefono perché lui mi chiamerà e mi chiederà di raggiungerlo per parlare e per non lasciarci mai più. Devo scrivere, si, devo scrivere. Scrivere mi aiuterà a distrarmi e quando avrò finito di scrivere lui mi chiamerà, si ne sono sicura, è così che andrà.
Scrivo, scrivo, continuo a scrivere ma lui non chiama. Sembra sparito nel nulla. Perché, perché Can? Perché non torni da me? Scrivo ancora senza fermarmi, finché gli occhi non incontrano l'anello, quell'anello che era il simbolo di una promessa, di un futuro insieme. Non voglio pensarci, non posso pensarci e allora scrivo, scrivo e continuo a scrivere mentre vedo che la carta inizia a bagnarsi. Il mio viso è bagnato da lacrime che pur volendo ricacciare indietro, continuano a scendere copiose lasciandomi andare a dei singhiozzi che scuotono le mie spalle.
Piango, piango come ormai facevo ogni momento da quando lui era andato via. Sento la testa pesante, le tempie pulsano e il mio cuore continua a lacerarsi sempre di più, finché affranta dal dolore non mi lascio cadere sulla scrivania fino ad addormentarmi.
Apro gli occhi solo quando sento bussare insistentemente alla porta. È mia sorella. «Sanem, apri per favore» mi dice, ma io voglio stare da sola, non voglio vedere nessuno, ma lei insiste e mi chiama e anche se controvoglia, giro la chiave nella toppa e la lascio entrare.
«Sorellina, ti ho portato il tè». Il tè, mi ha portato il tè. Il tè che lui amava tanto e che io gli preparavo con tutto l'amore che avevo in corpo. «NO! NON LO VOGLIO!». Prendo il bicchiere a forma di tulipano e lo lancio con tutta la rabbia che ho in corpo contro il muro, dove da sempre c'erano affissi i miei amati Albatros. Ma il problema è che l'unico Albatros che amavo, aveva spiccato il suo volo, lasciandomi a terra a guardarlo allontanarsi con le sue ali lunghe e possenti, che non mi avrebbero più sfiorata. Vedo lo sguardo di Leyla ingrandirsi e riempirsi di terrore. Quegli occhi chiari che mi hanno sempre guardata con amore, ora mi fissano spaventati.
Leyla allunga una mano verso di me, nel tentativo di toccarmi. Io mi scanso di colpo, e lei si ritira spaventata. «Sanem, sorella mia, calmati, volevo solo sapere se stai bene». Ha la voce tremante, ma non me ne curo affatto e in un attimo invesco contro di lei. «BENE? COME POSSO STARE BENE? LUI È ANDATO VIA LEYLA. MI HA LASCIATA. HA DISTRUTTO OGNI COSA, E TRA TUTTE IL DIARIO CHE PARLA DI NOI, CAPISCI? HA DISTRUTTO NOI!»
Continuo a fissare con rabbia mia sorella, e so che lei non ha colpe. Resta li, ferma e capisco che aspetta un altro scatto della mia ira. Ma non arriva. «D'accordo Sanem, niente più tè. Ma cerca di restare in te. Siamo preoccupati, e tanto» dice con gli occhi lucidi. «Sorella, lui non tornerà, e io non so come vivere.»
Leyla mi fa un cenno di comprensione con i suoi occhi blu. Non so che aspetto abbia il mio volto, ma non dev'essere un bel vedere. Esce dalla mia stanza, e chiude la porta dietro di se, mentre io mi butto stesa sul letto in posizione fetale, cercando di espellere il dolore che provo, nonostante sia consapevole che potrei piangere tutta una vita, e il dolore non si attenuerebbe mai. La sento parlare in corridoio, ma non avverto riposte. Capisco che è al telefono. «CeyCey, la situazione è grave. Can è partito. Si, si sono lasciati in malo modo e lui è andato via, senza guardarsi indietro. No, non so che fare CeyCey, Emre è distrutto, ma è Sanem quella che mi preoccupa. Ok, allora chiamo subito Deren. Ok, va bene. Fa presto, a più tardi» Leyla ha informato anche CeyCey della mia amara notte appena trascorsa, e da ciò che ho sentito, avrebbe chiamato anche Deren. Altri due spettatori allo spettacolo del mio dolore. Ma comprendo Leyla. Non dev'essere facile capirmi. Non adesso che il mio cuore ha smesso di battere. Passano ore, o forse giorni, oppure anni, non lo so, ma sento di nuovo qualcuno bussare alla mia porta. «Uccellino, sono il tuo papà. Aprimi piccola mia». Papà. Il mio adorato padre. L'uomo che da bambina mi teneva le mani durante la tempesta, di cui avevo paura. Con uno sforzo enorme, mi metto seduta. «È aperto» dico con la poca voce rotta dal pianto. Sento il suono della mia voce, e mi spavento da sola. Non ha colore, è vuota. So il perché, e fa male pensarci. Lo vedo entrare in camera e sedersi sulla sedia che solitamente occupavo per creare le mie amate creme. Le creme. No, non posso pensarci ora. Non davanti a mio padre. Nascondo il pensiero del nostro profumo, e mi concentro su mio padre. Non so quanto la mia espressione sia credibile, ma ci provo ugualmente. «Piccola mia, mi addolora vederti cosi. Per te farei qualunque cosa lo sai, ma quello che è successo mi rende impotente. Sei la mia bambina, il mio uccellino del mattino.» Non lo lascio finire di parlare. «Papà, ti prego. Non chiamarmi più in quel modo». Lo vedo confuso. Lui non sa che anche..Lui, mi chiamava cosi. Inizio a notare che pronunciare il suo nome o solo pensarlo mi fa male. Ma come posso non pronunciare più il suo nome? Mio padre attende paziente una spiegazione per quella affermazione, e mentre il mio cervello elabora la risposta, la mia bocca non effettua nessun movimento, dalle mie labbra non esce nessun suono e le mie corde vocali rimangono ferme. Sto impazzendo dal dolore. Continuo a fissare mio padre che aspetta che io parli, e invece me ne resto lì, muta con il cervello in fiamme. «Tesoro, bambina mia parlami. Sono qui» Padre, perdonami, ma non ci riesco. Rimango ferma a fissare mio padre. Svuotata di ogni emozione. Mi accorgo a malapena di mio padre che scatta dalla sedia e si precipita fuori dalla stanza urlando «MEVKIBE! MOGLIE MIA, AIUTO! SANEM NON PARLA, NON CI RIESCE, LA MIA BAMBINA! MEVKIBE!». Mi assento a me stessa, e al mondo, per chissà quanto tempo. Non so cosa succede nel mentre rimango in questo stato. So solo che ora due nuove figure appaiono ai miei piedi, inginocchiati come fossero al mio capezzale. Le guardo con i miei occhi che non hanno calore alcuno. Spenti e quasi inumani. Deren mi prende la mano e la stringe. Il mio sguardo si posa su di lei. Inizia a parlarmi «Sanem, mi senti? Sono Deren»
Vorrei dirle che so benissimo chi è, ma resto muta. CeyCey mi si siede accanto sul letto, sfatto e chiazzato dalle mie continue lacrime. Sento il suo sguardo angosciato e preoccupato. La vecchia me, sarebbe stata preoccupata per quel suo stato d'animo, ma la nuova me è consapevole di non poterci fare nulla, perché è lei stessa la causa dell'ansia del suo amico. «Sanem? Sanem, qui è CeyCey che parla. Mi senti Sanem? Sanem? Sanem, basta, parlami altrimenti inizierò a dare i numeri, E SE TU NON INIZIERAI A PARLARE E IO INIZIERÒ A DARE IN NUMERI NESSUNO POTRÀ FERMARE I MIEI DELIRI. HAI CAPITO SANEM? PARLAMI SANEM!» CeyCey era entrato ufficialmente in quello che era il suo stato naturale, da persona ansiosa. Mi dispiaceva sapere che quell'ansia era dettata da una cosa orribile a me capitata. Solitamente le sue ansie, erano sempre dovute alle rivelazioni su me e...Lui. Odiavo me stessa per non riuscire a pronunciare o a pensare il suo nome. Come era potuto accadere? «BASTA CEYCEY!» Deren urla improvvisamente, e io di riflesso chiudo gli occhi e li tengo stretti. Per un solo momento, uno soltanto, penso di essere ritornata all'agenzia. Il luogo dove ogni cosa di noi era iniziata. La Fikri Harika era il luogo in cui i suoi occhi si posarono su di me per la prima volta.
Allah, fammi cadere in un sonno profondo, da cui io non possa più svegliarmi. Qualunque cosa per cancellare il mio dolore!
Vedo CeyCey alzarsi dal mio letto e spostarsi alla scrivania, il suo volto esprime amarezza. «Sanem, sono qui per aiutarti. Non ho mai avuto amiche, ma tu lo sei diventata. Mi hai aiutato in un momento della mia vita in cui pensavo fosse davvero tutto finito. Sono qui per te, se lo vorrai. Parlami! Non tenerti tutto dentro!» Deren.
Dopo diverse liti e scontri, ero diventata davvero cosi importante per lei? Cosi importante da non andare in agenzia e venire qui, da me. Lei era venuta ad accertarsi che stessi bene. Loro, i miei ex colleghi e amici erano corsi qui per me. Eppure io mi sento sola. L'unica persona che vorrei facesse quello che avevano fatto altri, non c'era, e non ci sarebbe stato.
E Senza parlare, senza curarmi dei presenti in quella stanza, mi sdraio su di un fianco, e inizio a piangere e tremare. Non riesco a smettere, sento la gola in fiamme, sono disperata. Deren e CeyCey escono dalla mia stanza delusi ed amareggiati per non essere riusciti a consolarmi. Sento delle persone dietro la mia porta, una di queste è Emre. Sento i miei genitori che lo pregano di entrare ma lui si rifiuta. Insistono, sento che insistono, così alla fine sento bussare. «Sanem, sono Emre, posso entrare?» mi chiede con delicatezza, e con una voce roca e stanca rispondo flebilmente. «Entra». Non voglio vedere Emre, mi ricorda Lui. Voglio che stia lontano da me, che porti via il ricordo di Lui e che lo faccia sparire come è sparito Lui. Emre si siede al bordo del mio letto, allunga la mano per accarezzarmi il braccio, ed io mi irrigidisco. Nessuno deve toccarmi, non voglio che nessuno mi tocchi o potrei frantumarmi in mille pezzi. «Sanem, per favore parlami».
No, non voglio parlare di Lui, non voglio parlare del male che mi sta facendo. Non voglio niente da Lui, lo odio! No, non è vero, come posso odiarlo?
Lui è l'unico ragazzo che io abbia mai amato in vita mia. L'ho amato con tutta me stessa, con ogni parte del mio cuore, con ogni parte della mia anima. Era la mia ragione di vita, il mio futuro, il mio mondo. Era tutto. Ma ora se n'è andato per sempre e io raccolgo i pezzi del mio cuore che Lui ha spezzato. «Perché Emre?» Dico quasi sussurrando, «Perché è scappato da me?». Inizio a piangere, di nuovo. «Mi ha lasciata, mi ha detto addio e mi ha lasciata. Avevi ragione tu. Lui se ne va. Se ne va sempre. Io senza di Lui, non posso vivere Emre, aiutami. AIUTAMI TI PREGO!».
Mi alzo di scatto e lo abbraccio. Lo stringo forte per cercare un appiglio, per tenere stretto a me l'unica parte di Lui che mi era rimasta. Sento Emre stringermi, cerca di calmarmi e emanare calore, quel calore che non sento più da quanto Lui non c'è. Tutto il mio mondo è crollato, è sparito con Lui. Emre mi abbraccia forte, come se cercasse di tenere insieme i pezzi di me. Quei pezzi che perdevo ogni giorno. Riesco a calmarmi e mi stacco dall'abbraccio. Guardo Emre e gli chiedo di lasciarmi sola. Lui mi guarda, mi sorride asciugandomi le lacrime e mi lascia un bacio sulla fronte. «Chiudi la porta per favore», è l'unica cosa che riesco a dire.
Sento il respiro pesante e mi tocco il petto di riflesso. Le mie dita toccano una collana. Quella collana. Quella che mi aveva regalato per il compleanno, dopo una nostra ennesima litigata per colpa di chi tramava alle nostre spalle. Stringo forte quella pietra in un pugno, strizzo gli occhi e mi lascio andare a quel ricordo così doloroso. «Che l'amore ti sia sempre vicino Sanem».
Eri tu l'amore, tu. Solo tu. Eri quello che volevo avere nella mia vita per sempre. Ma tu non ci sei. Non voglio più tenere questa collana, voglio tenerti lontano, non ti voglio nei miei pensieri. Non ti voglio nella mia vita e non ti voglio vicino al mio cuore.
«BASTA, NON TI VOGLIO PIÙ!», dico a voce forse un po' troppo alta strappando la collana dal collo e scaraventandola chissà in quale punto della mia camera.
Lui non c'è più.
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GOCCE D'AMBRA (SOSPESA)
FanfictionCosa succede a due anime quando, a causa di una tempesta, sono state costrette a dividersi? Può un amore, che sembrava fosse inossidabile, sopravvivere ad una separazione di un anno? "Vai via" "Addio" La storia di Can e Sanem riparte da qui. Nuovi...