Capitolo 3.1: Rabbia

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Male, sto male

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Male, sto male. Non so nemmeno quanto tempo sia passato da quando Lui è andato via e lo odio. Lo odio perché ha bruciato il mio taccuino, perché mi ha lasciata, perché mi ha ridotta in pezzi. Sono arrabbiata, molto arrabbiata. Non so nemmeno da quanto tempo io non mangi, ma la rabbia mi toglie il sonno e la fame. Vorrei solo guardarlo negli occhi e urlargli che è colpa sua, che è sempre stato un Re Cattivo e che mi ha rovinato la vita. No, non è vero, come può essere?

La mia vita con Lui era luminosa, colorata, felice. Ora è tutto nero intorno a me, nera come sono io. Nera come la rabbia, quella che provo da quando mi ha lasciata. Sono giorni che vedo i miei cari entrare nella mia camera e parlarmi, ed io non rispondo. Non riesco più a parlare. Credo di avere mille parole nella mia testa, ma in realtà non ce n'è nessuna. Vuota. Sono stata svuotata di tutte le emozioni positive e poi riempita con dolore, tristezza e terrore.

Ormai è mattina inoltrata, e non so di che giorno. Come ieri, resto fissa ad aspettare che qualcuno mi risvegli da questo incubo. Bussano alla porta, come se si aspettassero che potessi dire «Avanti, prego entrate» e invece no, rimango ferma e muta. In un silenzio perpetuo che non penso abbia fine.

«Sanem, posso entrare?» Emre. Odio anche lui. È difficile per me sapere che sotto questo tetto ci sia qualcuno che possiede lo stesso sangue di.. Lui. Emre entra, mi sorride e io distolgo lo sguardo. Non si somigliano affatto, ma vederlo mi riporta a Lui e fa male. Fa male anche solo pensare che lui sia una parte di Lui e che viva qui, sotto il mio stesso tetto. «Come ti senti oggi Sanem? Va un po meglio?» Dopo giorni passati a ignorare ogni tentativo di chiunque di cercare un qualunque gesto da parte mia che significasse un miglioramento, ecco che una furia potente si riversa in me. Mi alzo dal letto, senza neanche accorgermene. Vedo Emre sorridere. Forse pensa che sia un progresso, un qualche gesto di ripresa dal mio stato catatonico, e invece la mia mano si protende verso il primo oggetto che trova. Non so nemmeno cosa sia. Emre osserva la scena ancora sorridente, ma il sorriso dura poco. La mia mano scatta e scaravento qualunque cosa fosse nella sua direzione. Capisco che si tratta di un oggetto di vetro. Emre fa in tempo a scansarsi per non essere colpito.

«VAI VIA, VAI VIA LASCIAMI IN PACE. TU. NON FARTI PIÙ VEDERE VAI VIA! NON TI BASTA SAPERE E VEDERE COME LUI MI HA RIDOTTA? VAI VIA!». Mentre dico queste parole, mi getto verso di lui e inizio a colpirlo con i pugni sul petto, mentre lui alza le braccia in segno di resa permettendomi di colpirlo. Alzo lo sguardo pieno di rabbia, dolore e lacrime e vedo Emre confuso ma comprensivo. E senza dire una parola, si allontana da me. Devo aver urlato tanto, perché quasi subito, la porta della mia camera si spalanca, ed entra Leyla seguita da mia madre, che rimane fuori dalla stanza ad osservare quella che una volta era sua figlia.

Non ho pietà in me. Leyla prova ad avvicinarsi con cautela, come se fossi un rapinatore armato, e tenessi in ostaggio suo marito, pronta a piantargli una pallottola dritta al cuore. «Sorellina mia, calmati. Emre non è Lui». Anche i miei familiari e amici, avevano iniziato a non nominare più il Suo nome. Forse pensavano che facendo cosi, sarei migliorata. Che sarei ritornata la Sanem di sempre. Ma quella Sanem è morta. Morta. Guardo Leyla e un moto di gelosia mi afferra lo stomaco. Parole cattive, ho solo parole orrende. «LASCIAMI IN PACE ANCHE TU! TU HAI TUTTO, TU NON POTRAI MAI CAPIRMI. HAI UN LAVORO, UNA VITA INTERA DAVANTI DA CONDIVIDERE INSIEME A CHI AMI. NON POTRAI MAI COMPRENDERE IL VUOTO CHE HO DENTRO. STATEMI LONTANO. TUTTI! NON VOGLIO VEDERVI. SPARITE, ANDATE VIA. LASCIATEMI SOLA»

GOCCE D'AMBRA (SOSPESA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora