I - Casuale

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Guardai il cielo notturno ancora una volta, nella speranza di scorgere tra le nebbie dell'inquinamento un accenno di luce stellare

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Guardai il cielo notturno ancora una volta, nella speranza di scorgere tra le nebbie dell'inquinamento un accenno di luce stellare. Una speranza vana, se si vive nella periferia di una grande città.

Sbuffai e presi in mano il telefono, con l'intenzione di cambiare canzone.

Di nuovo.

Avevo deciso di salire sul tetto con l'unico proposito di rilassarmi e ascoltare un po' di sana musica, prima di iniziare il mio turno al locale. Era da quando mi ero seduta su quello stupido cemento che non avevo sentito una canzone per intero. Il mio modus operandi era il seguente: ne saltavo una decina e poi, quando mi ero stufata di cambiare, mi accontentavo della prima canzone decente, per ricambiare di nuovo dopo pochi secondi.

Non ne trovavo una giusta.

Ed era frustrante.

Quando le prime note di Chopin furono interrotte dai Maximum the Hormone capii di aver speso troppo tempo a saltare canzoni.

«Umi?» domandò la voce di mio padre non appena risposi alla chiamata. «Umi, dove diavolo sei? Il tuo turno iniziava dieci minuti fa, il locale si sta riempen-»

«Arrivo» dissi secca prima di premere il tasto rosso.

Abbassai le cuffie, appoggiandole sulle spalle, e le staccai dal cellulare.

Poi, aprii la botola e mi fiondai giù per le scale.

Ovviamente, non ero impreparata: non era la prima volta che mi perdevo nei miei pensieri mentre oziavo sul tetto. Avevo addosso camicia, pantaloni e scarpe infortunistiche: mi mancava solo di infilare la prima nei secondi e avevo fatto.

Superai il settimo piano, imprecando e domandandomi il perché in quel condominio non ci fosse un dannato ascensore.

È disabitato, Umi, mi sussurrò una voce nella mia testa.

A parte la vecchietta rompiscatole di turno al terzo piano, quell'edificio era pieno di stanze inutilizzate.

E scale.

Scale, scale, scale.

E indovinate un po'?

Ancora scale.

Quando misi entrambi i piedi al piano terra avevo la sensazione che c'era qualcosa di sbagliato in quel pavimento, tanto mi ero abituata ai gradini.

«Umi!» esclamò la voce conosciuta di Koichi, il nostro cuoco. «Dov'eri finita? Ormai è mezzanotte passata, Rintaro è andato via cinque minuti fa, la cucina ha chiuso e tuo padre è-»

«Furioso, lo so» conclusi sbuffando.

Koichi mi sorrise, dandomi un veloce buffetto sulla spalla. «Ora legati i capelli e vai, prima che quel drago si arrabbi.»

Annuii e mi toccai i polsi, cercando un laccetto che non avrei mai trovato.

Il cuoco rise ancora e si slegò i lunghi capelli neri, lisci come spaghetti, porgendomi il suo nastrino. «Spero non ti faccia schi-»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 22, 2020 ⏰

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