Capitolo 8: 𝒗𝒊𝒏𝒐!

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Quell'anno, mi sembrò che ci fossero molte più persone del solito, tra cui numerosi volti che non vedevo mai a quella festa. Riconoscendo alcuni miei coetanei che avrei preferito non avere attorno, storsi il naso. Gli invitati si aggiravano tra gli alberi, radunandosi in piccoli gruppetti per conversare e godersi la brezza fresca della sera. Cercai qualcuno che conoscessi e con cui avrei voluto parlare, ma non trovai nessuno.

Davanti a me avevo una lunga e noiosa serata in arrivo.

Ci fermammo sul terrazzo prima di scendere nel parcheggio, che brulicava di automobili costose. Jackson scattò alcune fotografie, probabilmente volendole postare sui social. Su Instagram, un po' come i suoi fratelli, aveva molti follower. Spesso postava video in cui ballava o cantava, che erano le poche passioni che aveva fin da bambino.

Quando eravamo ragazzini, il fatto che lui si fosse iscritto ad una scuola di danza, che frequentava dopo scuola, era stato argomento di molti gossip tra i membri della comunità. Un ragazzo che ballava non era normale! Come osava avere una passione 'da femmina'... I commenti della comunità si fecero così forti che suo padre gli consigliò di tenere per sé questo hobby.

Jackson sorrise, vedendo avvicinarsi l'auto di un suo amico. Si voltò frettolosamente verso di noi e si congedò, raggiungendo il ragazzo.

Io e Ginevra restammo sole.

«Allora» esordii, le mani unite dietro la schiena. «Di cosa volevi parlarmi prima?»

Evitò di guardarmi. «Niente» tagliò corto.

Scendemmo verso il giardino, iniziando a camminare sul prato curato. Non ero ancora abituata a camminare sui tacchi, ma sperai di non fare figuracce cadendo a terra o inciampando.

«Come voi» risposi.

Il modo migliore per convincere Ginevra ad aprirsi con me non era cercare di forzarla a farlo. Doveva essere lei a scegliere quando sfogarsi. A me bastava limitarmi a fingere di non essere interessata, rimanere in silenzio e sarebbe venuta lei da me, desiderosa di rivelarmi ciò a cui stava pensando.

Sicura di conoscerla abbastanza e di avere ragione, aspettai.

Ginevra durò poco. «Va bene» disse. «Te lo dico.» Si fermò, fronteggiandomi e impedendomi di continuare a camminare. «Volevo sapere se tu e Jackson avete programmato qualcosa per stasera.»

«Che intendi?» le chiesi, fingendomi confusa.

Incrociò le braccia al petto. «Lo sai che intendo.» Mi rivolse uno sguardo torvo. «Non voglio che sprechiate soldi per me o che vi mettiate nei guai. Sono grande abbastanza per fare le mie scelte.»

Non vacillai e replicai con la sua stessa determinazione. «Non ho intenzione di sprecare i miei soldi di nuovo.»

«Bene» dichiarò, sollevata. Si voltò e riprese a camminare.

«Sei grande abbastanza per fare le tue scelte, dopotutto» aggiunsi, facendole il verso. «È giusto che tu sia responsabile delle tue azioni e che ne soffra le conseguenze.»

Mi fulminò con lo sguardo, infastidita dalle mie parole. «Non ho voglia di ascoltare un'altra delle tue prediche» disse a denti stretti.

«Come vuoi.»

Prima che potesse scappare, la presi a braccetto e insieme tornammo a vagare.

Il giardino era stato decorato senza badare a spese. Il sole che avrebbe iniziato a tramontare tra meno di un'ora si rifletteva sulle lampadine arrotolate in lunghi fili trasparenti intorno alle cortecce degli alberi. A limitare l'area del giardino in cui era consigliato stare, erano stati lasciati dei paletti con delle candele profumate, che pensai avessero lo scopo di allontanare le zanzare.

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