Diana cercò di mantenere un certo livello di discrezione mentre studiava il modo cauto ma affettuoso con cui Chong-eun si rivolgeva all'uomo sdraiato nell'angolo della stanza. Anche Jimin si avvicinò velocemente al materasso, inginocchiandosi davanti a quel corpo dall'apparenza così fragile.
La giovane prese a masticare lentamente la cena, lanciando occasionali occhiate alla scena. L'uomo sembrava talmente debole da non riuscire neppure a issarsi a sedere, tanto che la donna doveva imboccarlo lentamente. Il ragazzo restava seduto al suo fianco immobile, pronunciando una frase di tanto in tanto con un vacillante sorriso sulle labbra. Jimin aveva una voce flebile, quasi femminea nella sua acuta inflessione, ma perfettamente complementare alle sue sembianze aggraziate. I suoi occhi, però, sembravano incurvarsi sempre più all'ingiù ogni volta che si posavano sull'uomo sdraiato.
Diana non poté farne a meno. Si ritrovò a guardare quelle tre persone vicine nel corpo quanto nello spirito e non riuscì a distogliere lo sguardo. La sua gola sembrava essere stata annodata, strozzata da un cappio impietoso che stringeva, stringeva sempre di più. Il dolore fisico saliva fino ai suoi occhi, costringendola a sbattere le palpebre numerose volte. Infine, raggiungeva la fronte, appesantendola come se qualcuno vi avesse posato un macigno sopra.
Una famiglia. Lei non ce l'aveva più.
Un padre. Lei non ce l'aveva più.
Che cosa avrebbe dato pur di poter guardare di nuovo gli occhi ansiosi ma colmi di affetto di sua madre?
A chi avrebbe venduto l'anima pur di rivedere lo sguardo fiero di suo padre su di lei?
Quando viveva a Venezia aveva sempre avuto la sensazione di essere un animale in gabbia. Era così impaziente di scoprire il mondo. Era così ansiosa di scappare da quella città e trovarsi in terre nuove, sconosciute.
In quel momento, però, avrebbe dato la sua vita stessa pur di essere di nuovo a casa.
Una lacrima sfuggì alla presa delle sue ciglia e le rigò una guancia con la sua umida scia, ma Diana la asciugò velocemente, abbassando lo sguardo sulla sua ciotola ormai vuota.
Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro. Non poteva lasciare che l'ansia e la disperazione la trascinassero in un baratro di autocommiserazione. Non poteva permetterselo. Nonostante ciò, nonostante questa consapevolezza, la sua mente non riusciva a fare a meno di vorticare sugli stessi, soffocanti pensieri.
Era sola.
Orfana di padre.
Circondata da persone che non parlavano la sua lingua e in una terra di cui non sapeva niente.
Probabilmente, non avrebbe mai più rivisto la sua casa.
Strinse il legno sotto le dita, mordendosi le labbra. Doveva smetterla di essere così egoista. Era stata accolta da persone gentili e generose. Persone che a loro volta stavano affrontando difficoltà. Non aveva il diritto di pensare di essere l'unica al mondo a soffrire.
Mentre cercava di aggiustare i suoi pensieri e di fermare le lacrime che salivano ai suoi occhi come nuvole cariche di pioggia, continuava a trarre profondi respiri. Era talmente assorta nella sua meditazione, che non si era accorta dell'arrivo di Chong-eun. La donna si era accomodata accanto a lei e aveva posato delicatamente una mano sulla sua schiena. Quando la giovane finalmente aprì gli occhi e notò la sua presenza, le rivolse un sorriso.
Era un sorriso unico, uno di quelli che esprimevano tutte le parole che non riuscivano a scambiarsi. Il suo calore le diceva che capiva il suo smarrimento e la sua lieve malinconia le suggeriva che comprendeva anche il suo dolore. Che era lì per confortarla. Diana, senza sapere come rispondere, chinò la testa in segno di gratitudine. Il sorriso di Chong-eun si allargò ulteriormente prima che le sue mani si spostassero dalla sua schiena.
STAI LEGGENDO
Il principe del calmo mattino (M.YG)
FanfictionChoson, 1503 La condizione di principe esiliato aveva portato Yoongi a fidarsi unicamente delle persone che vivevano sotto al suo tetto. La cosa, però, in fondo non gli dispiaceva. Erano pochi quelli che tollerava e ancora meno quelli a cui concedev...