Capitolo 2.

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Una giornata come tante. Mi alzo dal letto, mi guardo allo specchio. Mutande e canottiera, la alzo e controllo che le ossa delle costole si vedano. Perfetto, le posso contare nelle loro scanalature. Scelgo come vestirmi, prendo un paio di jeans un po' larghi, una maglietta nera ed una camicia a quadri da lasciare aperta. Metto una cintura di borchie color metallo, giusto per non perdere i pantaloni, controllo i braccialetti tattici contro il fatto che si vedano le mie cicatrici e mi trucco un po'. Giusto un po' di matita nera e del mascara. Scendo a preparare la colazione e mi bevo un po' di latte di riso. Il tavolo è pronto. Arriva mia madre, già impegnata col telefono, che mi fa un cenno di saluto e si avventa sul caffè, già pronta con il suo tailleur e la ventiquattr'ore. Risalgo in camera e preparo lo zaino. Il mio eastpack nero, compagno di molte avventure. Già so che non andrò a scuola. Dunque ci infilo il mio diario, l'astuccio, e la mia pochette. Nella pochette non c'è nulla di buono... solo siringhe, un laccio emostatico, cerotti, lamette... e chi più ne ha più ne metta. Sento al piano inferiore i miei fratelli con mio padre. Ho bisogno di soldi, quindi devo entrare nella camera dei miei e rubare dal cassetto o dal portagioie. Così scendo mentre tutti sono a tavola, entro in camera pianissimo e prendo 200€ dal cassetto. Nella speranza che mi servano.

Al momento dell'uscita da casa siamo tutti pronti, e noi fratelli facciamo gli svogliati. Io contribuisco alla recita, devo farmi credere. Usciamo da casa, e ci incamminiamo verso il centro città. Farmi vedere con la mia famiglia spesso mi dà fastidio perché mi sento esterna ed estranea a loro. Ma cammino poco distante, alla distanza in cui non si capisce se sia con loro o no. La camminata fino alla scuola dei miei fratelli non è troppo lunga. Li saluto e poi fuori dal cancello guardo mio padre. Ora le nostre vie sono destinate a dividersi. Lo saluto e vado verso la mia scuola. Per strada incontro qualche faccia conosciuta. Tutte loro si dirigono verso il liceo, ma io no. Infatti giro, poco prima di arrivare, e mi dirigo verso un parco. Li appoggio il mio zaino a terra, prendo i soldi e li conto. Sono esatti, il problema è che me ne servono di più... Aspetto che passi l'orario in cui la campanella suona, poi mi dirigo al supermercato non molto lontano. Compro una bottiglia di vodka pura. La metto nello zaino con due birre che ho rubato e mi incammino verso le zone più vicine alla stazione dei treni. Per strada scolo il mio litro di birra da 12 gradi. Sono già ubriachetta, ma questo mi serve ad essere più sciolta.

Cammino lungo i binari, aspettando che la calca liberi un po' gli spazi. Quando passa il treno e quasi tutti salgono, mi avvicino ad il solito gruppo di spacciatori che conosco. O meglio, io conosco il capo, Giuseppe, un uomo sulla cinquantina che procura la droga da vendere ai suoi aiutanti, stranieri della mia età su per giù.
-Ehilà, tigre! Come butta oggi?- mi fa Giuseppe.
-Solito, te?- cerco di essere disinvolta.
-Tutto bene, il lavoro va bene e son contento.-
-Figo. Senti, ho poco meno di 200€... li vorrei tutti in roba, buona se ce l'hai. Poi non è che mi regali del rivotril in gocce? Giusto un cinque boccette.-
-Aò, quanta roba vuoi? Senti, per la roba combino, ed anche il rivotril... però di questo passo devi ricompensarmi.-
Sapevo a cosa alludeva. Sesso, o almeno qualcosa di molto vicino. Almeno foto. Nuda.
-Nessun problema.- Fingo di essere a mio agio, per nulla preoccupata al pensiero di fare la puttana.
Gli passo i soldi con un gesto rapidissimo, lui mi dà la roba nel mentre. Il rivotril me lo mette nello zaino. Lo ringrazio, saluto, e non dico nulla quando mi tocca il culo.

Dopo una ventina di minuti arrivo in una casa diroccata, dove tanti vengono a farsi. Prima mi cucino la roba, poi con una siringa usata la inietto in vena. Questa si che è una pera, mi fa sentire un'estasi bellissima, e poi una calma come mai prima. Inizio a mescolare il rivotril alla vodka e poi bevo tutto.
Fatta ed ubriaca, crollo a terra nel mio stesso vomito.

Freeda; la mia storia. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora