XI

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"Signore... quale grande peccato ho compiuto per meritarmi questo?"

Mentre il suo corpo rimbalzava fastidiosamente sul cavallo, Diana iniziò a sentire i suoi sensi addormentarsi. Aveva la necessità di estraniarsi, di allontanarsi dalle sue fragili membra. Membra che erano state vendute. Per cosa, poi?

"Signore... mi odi?"

Il cuore batteva lentamente, suonava una triste melodia per lei. Si stava spegnendo. Stava perdendo anche quel piccolo briciolo di speranza che le era rimasta.

"È questo il mio destino? È questo che vuoi per me?"

Forse era così. Era destino che diventasse una schiava. Se questo era vero, non aveva alcun senso provare a contrastare ciò che il fato o il Signore volevano per lei.

Il suo corpo sdraiato malamente sul cavallo stava perdendo la presa sulla sua coscienza. Doveva allontanarsi da lì. Dal suo inutile involucro. Da quello che era un essere umano e che stava per diventare una proprietà.

Il sorriso pieno di calore di Chong-eun la trattenne per un momento. Una piccola ancora, che tirava debolmente una grande nave in mezzo alla più violenta delle tempeste.

Lo sapeva? Era stata una sua idea?

Il solo pensiero le dava la nausea. Come poteva una persona così gentile anche solo considerare di venderla? Che senso avrebbe avuto salvarla, allora? Perché guarirla, se aveva intenzione di liberarsene?

O forse era stata un'idea di Jimin. I suoi occhi scuri, piccoli ma espressivi, avevano parlato più onestamente di quanto ogni parola potesse fare. Lui. Lui l'aveva tradita.

Perché?

"Perché Signore?"

La marcia indomita del cavallo si fermò, ponendo fine al fastidioso penzolare del suo corpo, appoggiato di traverso rispetto al dorso dell'animale. Diana si accorse appena delle mani che la afferrarono per la vita, trascinandola violentemente giù dalla sua scomoda posizione e ponendola sulla larga spalla di un uomo.

Non emise un suono. Non un lamento. Non un grido.

A cosa sarebbe servito, se non a farla sentire ancora più patetica?

Nessuno avrebbe risposto.

Non lo avevano fatto le persone che la amavano. Non lo aveva fatto la persona che l'aveva salvata. Di certo, nessun altro lo avrebbe fatto in quel momento.

Il suo corpo, dopo un breve tragitto, fu finalmente scaraventato a terra. Mentre delle voci discutevano concitatamente, Diana rimase immobile sulla superficie di legno sotto di lei, strofinando appena i polsi. Le corde che li circondavano stuzzicavano fastidiosamente le cicatrici ancora fresche delle piaghe che le avevano precedute.

Quando il sacco fu sollevato dalla sua testa, la prima cosa che i suoi occhi videro fu il volto corrucciato di un giovane. Non doveva avere molti più anni di lei, eppure era seduto fieramente, con il petto dritto e lo sguardo irremovibile.

La giovane abbassò la testa.

Doveva sopravvivere. Anche senza la sua dignità.

La voce calma ma imperiosa dell'uomo sembrò rivolgersi verso di lei. Naturalmente, non capiva che cosa le stesse chiedendo. Abbassò ancora di più la testa, chiudendo febbrilmente le palpebre per placare il bruciore agli occhi.

-Riesci a capirmi?

Il suo volto scattò verso l'alto, illuminandosi di una flebile, ingenua speranza. I suoi occhi incontrarono quelli adombrati del giovane, che la fissava con un'espressione dubbiosa.

Il principe del calmo mattino (M.YG)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora