Scosso dai singhiozzi era lì, caduto in ginocchio davanti alla lapide che con brutale freddezza gli ricordava ciò che avrebbe voluto dimenticare per sempre.
"SHERLOCK HOLMES": lettere d'oro su una lapide nera, freddo granito, ostile.
Era mattina prestissimo. L'aria era fredda, gelida e pungente e gli penetrava con crudele sadismo sotto i vestiti; ma lui sembrava non curarsene. Dopo una settimana dall'accaduto, era assalito dai sogni.
Sogni, non incubi. Ricordava ogni singolo istante della sua vita passata con lui; a volte restavano dei fermo immagine vividi appicciati sulle sue retine:erano quelli i più dolorosi in assoluto. Non che fossero eventi particolari: un sorriso, un'espressione, una parola, uno sguardo che poi non gli si toglievano più dalla mente. Quelli erano i giorni più dolorosi da vivere.
Questo era uno di quei giorni.
L'immagine si ripropose con calma brutale sulle retine: era l'espressione che gli spuntava sul viso quando suonava il violino.
Chiudeva gli occhi, la bocca lievemente socchiusa, la fronte spianata in un'espressione di assoluta concentrazione, la testa inclinata che teneva fermo il violino. Stava ritto davanti alla finestra, lasciandosi inondare dalla luce che entrava prepotentemente dalla finestra. Poi iniziava a suonare: era bravo, molto bravo. Sarebbe rimasto ad ascoltarlo per ore intere, ma non ne aveva avuto spesso l'occasione. Quella mattina aveva un altro motivo per essere lì: aveva sognato ancora quel giorno. O meglio, quei minuti. Anzi, quei secondi. La sua sagoma stagliata sul tetto del Saint Barts. Immobile, ritto e silenzioso. Il telefono che squillava e le sue parole, il suo biglietto.
Ricordava ogni singola frazione di secondo e ogni volta che ci pensava era una stilettata al cuore. Ricordava la sua mano tesa verso il vuoto, verso di lui, forse. La sua mano, come per reazione, si era sollevata, verso l'uomo sul tetto, forse. Poi il suo ultimo saluto. Poi si era semplicemente lasciato cadere giù. Non aveva emesso un suono. Lui, invece aveva urlato. "NO!" Un inutile grido di disperazione di fronte all''inevitabile, di fronte a ciò che aveva intuito in ritardo, come sempre.
Quella scena gli si era ripetuta milioni di volte durante quelle notti e quei giorni, senza fine. Milioni di mani tese nel vuoto, di mani alzate, di sagome immobili su un cornicione, di grida di disperazione e di telefonate che in realtà erano biglietti.
Quella mattina si era svegliato di nuovo di soprassalto, ma la disperazione era stata troppa, non aveva resistito: era corso fuori, nel freddo, e si era ritrovato a singhiozzare davanti a quella lapide.
Non poteva continuare così. Voleva mollare. Poi, ci ripensò. Non voleva credere che fosse morto, non poteva accettarlo. Un sussurro:- I believe in you, Sherlock Holmes-.
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Una settimana dopo.
FanfictionJohn Watson una settimana dopo il suicidio di Sherlock, si trova davanti alla sua tomba.