33. Hass - odio

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Lui, ovviamente, non c'è.

Come sempre, non c'è.

Dev'essere allergico al letto, perché sono pronta a scommettere che sia già andato ad allenarsi nel bosco, come fa tutte le mattine.

Il fitness prima di tutto, chiaro.

E io, che giaccio ancora mezza assopita tra le lenzuola, dovrei rappresentare l'anticristo della compagna ideale che, invece di alzarsi per preparare la colazione al cavaliere errante, si trattiene a letto, dormiente o quasi.

A volte rifletto a proposito di questa cornice, meravigliosa, inclusiva di ogni amenità; alla casetta immersa nella tranquillità del bosco, all'uomo aitante che guarda a me come alla cometa di Halley e mi dico che, forse, ma proprio forse, ho sbagliato fiaba.

Ho il "mio" Principe - e può darsi che lui abbia anche un suo castello -, eppure non potrei essere più infelice e disperata di quanto lo sono ora. Dov'è il mio lieto fine? Sono impantanata nella fase in cui la matrigna cattiva ha avvelenato Biancaneve e, benché il bel Principe alla fine mi abbia risvegliata - con un bacio che di vero amore non era -, non riesco comunque a venirne fuori.

Dovrò salvarmi da sola; ho capito. L'universo mi odia al punto da avermi relegata nel periodo più buio della storia, contando anche di lasciarmici marcire.

È ovvio poi che io non voglia più alzarmi dal letto. Quali sarebbero le mie prospettive da qui alla fine della guerra? Meglio ridursi in uno stato di incoscienza a questo punto, così da sottrarre ore, giorni interi alla mia non-vita.

Riduco il mio nasino delicato a un grugno porcino, risucchiando una cordicella di saliva. Che schifo. Richiudo l'unico occhio che mi ero degnata di aprire, seccata, e con una certa ritrosia, scorro l'indice sulla federa umida, augurandomi che questo particolare sia passato inosservato.

I miei piedi toccano terra prima che mi sia effettivamente svegliata; un errore che pago, perché la freddura del pavimento me li fa ritrarre altrettanto velocemente, come avessi cercato di pattinare su ghiaccio senza pattini e senza calze.

Ora posso ritenermi davvero sveglia.

Mi trascino pigramente fino al bagno, il cuscino schiacciato sotto l'ascella e almeno un ciuffo di capelli sparato per aria, le punte di quel codino naturale a penzolarmi davanti alla faccia.

Lo specchio mi ritrae in tutto il mio mattutino splendore, facendomi spaventare della mia stessa immagine.

E pensare che ho dormito bene! Con queste occhiaie sembro Rocky dopo l'incontro con Ivan Drago. Terribile.

Devo smacchiare la federa, lavarmi la faccia, darmi qualche pizzico sulle guance per riprendere colore, pettinarmi... una cosa per volta; non mi alzo mai così presto, non so nemmeno da che parte girarmi. 

Butto il cuscino sul materasso - dalla parte asciutta - con lo spazzolino in bocca, cercando di ripescare i vestiti usati che vorrei mettere nella bacinella a lavare. Dove accidenti sono? Non li trovo né sullo sgabello sul quale li avevo riposti, né tra le coperte, né sotto il letto.

L'anta dell'armadio la spalanco casualmente, in preda all'ansia, scoprendoli al suo interno, puliti, impilati, perfettamente stirati.

Meglio che scomparsi magicamente, ma guardare le mie mutandine rosa con l'immagine fissa di Reiner intento a lavarmele a mano e ripiegarle, a momenti mi fa morire di vergogna.

Che bello, l'uomo tedesco autosufficiente e meticoloso... fino a un certo punto però! Per quanto possa farmi gongolare l'idea che un Principe nazista mi abbia sistemato la biancheria, devo ammettere che questo abbia un che di sorprendente e disturbante.

Unsere Schatten - Le nostre ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora