Come schegge di vetro
ri-sorgere
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Avevo diciotto anni quando ero scappata dal mio paesino per trasferirmi a Londra, lontana dal passato ormai troppo pesante da reggere sulle mie esili spalle.
Anche a chilometri di distanza dalla casa che mi aveva causato solo dolore, però, avrei presto dovuto fare i conti con la realtà, perché proprio quel passato che avevo sempre cercato di sotterrare negli angoli più remoti della mia mente sarebbe tornato a galla, contaminando anche il presente, ché quando il veleno ti entra nelle vene il sangue non puoi più ripulirlo.
Almeno, questo era ciò che credevo, ma mi sbagliavo, perché nascosti nel grigio della nebbia londinese c'erano due occhi azzurri che mi guardavano dentro e che mi lasciavano un po' del loro colore, due pozze di cielo in una città tanto fredda e cupa. Eppure, molto presto avrei capito che quell'azzurro non era affatto come io l'avevo immaginato, ché non era stato rubato al cielo limpido della primavera, ma al mare in tempesta. In quegli occhi che avevo creduto tanto puri e in cui riuscivo a vedere il mio riflesso sfocato, si nascondevano in realtà segreti capaci di sporcare di nero chiunque li sfiorasse, ed io vi stavo già affogando dentro.
«Certe strade non le scegli tu, ti costringono a percorrerle e non ti mostrano una seconda uscita.»
Aveva l'aria sconfitta di chi non ce la faceva più a recitare un copione, e quale fosse la sua parte io mica l'avevo capito.
«Ascolta... stanne fuori. Per favore, stammi fuori.»
Più lo guardavo e più ne assorbivo ogni sfumatura di dolore. E lui lo sapeva, aveva sentito le mie mani prendersi un po' del suo marcio e non aveva opposto resistenza.
Non gli importava, quella volta non voleva nascondersi, mi aveva confessato un altro dei suoi segreti, uno più profondo. Mi aveva sussurrato con gli occhi che pure lui aveva un po' di grigio in mezzo a quell'azzurro, che le sue pozze di cielo a volte si riempivano di nuvole e faceva fatica a mandarle via.