"Sono serio." Avvicinandosi lentamente, Jimin abbassò il tono di voce, scoprendo però un lato di sè piú vulnerabile e sincero. "Voglio solo─"
Taehyung percepí delle dita accarezzare il dorso della sua mano, delicatamente. Non riuscí ad allontanarla di scatto, si sentí come inerte, in trappola nel suo stesso corpo che non voleva rispondere ai comandi.
Notò come lo sguardo di Jimin si fosse abbassato per osservare le loro mani, o meglio l'azione dolce delle sue dita. Tuttavia i suoi occhi rimasero fissi sul volto dell'agente. Nemmeno la sua vista voleva agire come severamente comandato dal cervello.
I capelli morbidi neri, le ciglia curve, la pelle liscia, le labbra piene.
"Riparare le cose."
Jimin risvegliò Taehyung dall'incantesimo sotto il quale lui stesso, inconsciamente, lo aveva accompagnato.
Spezzandosi, l'agente ricordò. Namjoon, le priorità, il luogo, la persona davanti a sè, ciò che gli aveva fatto. Ricordò e ricordò e ricordò.
Tre anni sono un lungo periodo durante il quale covare rancore.
"Non esiste più nulla da riparare, agente Park."