È sotto un salice che lo incontra per la prima volta. Capelli di un castano così caldo, così chiaro sotto quel Sole di giugno, da sembrare miele; un viso spigoloso, pieno di ombre, così sature in quel giorno limpido; gli occhi più azzurri del cielo, più familiari di quelli di sua madre, occhi che potrebbe passare una vita ad osservare - o che ha già osservato per una vita, più lunga però? -, occhi in cui potrebbe sprofondare, essere soffocato da quell'azzurro così puro, così vivo, ed esserne comunque contento. E quelle labbra, Dio, quelle labbra: labbra da mordere, labbra da assaporare particella per particella sulle propria lingua - ed eccolo lì, un sapore sulle labbra - un ricordo? - la cosa più dolce che abbia mai sentito. Harry è ancora confuso dalla familiarità di quel viso, da quelle lievi occhiaie che non appartengono a quel viso perfetto, quando gli scappa un: "Ci conosciamo?". Il ragazzo sembra pensarci un attimo, litigare con sé stesso silenziosamente; all'improvviso sembra molto stanco, esausto, come se avesse vissuto mille vite. "Sì," dice, e la sua voce è velluto, "Sì, ci conosciamo, Harry. È la mia dodicesima volta."
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