(I Demoni, Fëdor Michajlovič Dostoevskij)
San Pietroburgo, Russia, fine XIX secolo.
In uno squallido appartamento, dopo essere ambedue fuggiti dalla provincia, Stavrogin e Verchovenskij, prima della definitiva separazione, si vedono costretti a rendere conto l'uno all'altro degli avvenimenti in cui si sono trovati coinvolti durante le precedenti settimane.
Dal testo:
«Vi piace Puškin?», interrogò, con un sonoro barlume di speranza nella voce.
«Come a tutti», replicò con sufficienza Stavrogin, «Non in tutta la Russia: in tutta Europa, trovatemi uomo che non ami, conoscendolo, Puškin, e mi getterò ai vostri piedi!», seguitò, sogghignando malignamente. Verchovenskij, se non vi fosse stato più che aduso, sarebbe stato sorpreso dalle variegatissime espressioni ed emozioni che, nell'arco di pochi secondi, si alternavano, come danzando, sul bel viso di quell'algido uomo; sorpreso fu tuttavia dal piacere che traeva dalla contemplazione di quel ghigno crudele ed efferato. Volle nondimeno insistere, ancora speranzoso di riuscire a cavar qualcosa da quella conversazione: «E voi lo conoscete?».
«Puškin? Naturale».
«La conoscete, quella che dice: di voi m'innamorai, e quest'amor puro...».
«Nell'alma mia, ancor, destar si potrebbe - mi domando se sia umanamente possibile il contrario! E con ciò? Conosco anche quella che dice: un demonio ci conduce...».
(storia presente anche sul mio account di EFP)