Ore 7.16, distretto di polizia.
-Buongiorno, accomodatevi pure, siete i signori Cooper, giusto?-
-Si, siamo noi.- la voce di mio padre mi arriva alle orecchie ovattata.
Vedo tutto sfocato, l'unica immagine nitida è quella dei suoi resti. Ho la bocca asciutta, non riesco a muovermi, mi sento come paralizzata. Non sento più il mio cuore, o forse è solo quello che vorrei, quello che desidero. Non ho nemmeno le forze per avere un attacco di panico, mi sento leggera, vuota, come se fossi in una bolla. Tutto attorno a me è irrilevante, vedo solo lui, solo quello che resta di lui. Non piango, non ci riesco, sono un vegetale.
-Kim.- la voce di mia madre mi arriva alle orecchie leggera, delicata.
-Kimberly?- sento che mi chiamano, ma non riesco a muovermi, ad aprire bocca.
-Sta male? Volete che chiami qualcuno?- vorrei rispondere di no all'uomo sulla cinquantina che mi fissa preoccupato, vorrei potergli dire che sto malissimo, che mi sento morire, che voglio uccidere chi me l'ha portato via. Perché non lo meritava.
Non lui.
Ed io, Kimberly Cooper, non mi fermerò, troverò chi è stato, a costo di morire, tanto ormai non ho più niente da perdere, sono sola.
-Voglio la sua collana.- i tre presenti si voltano verso di me stupiti, non se lo aspettavano, avevano rinunciato alla mia parola.
-Non possiamo, per adesso dobbiamo tenerla noi, come tutto il resto.- mi alzo di scatto, e in un momento prendo le forbici poggiate sulla scrivania.
-Datemi la sua cazzo di collana, o mi taglio la gola, non ho più niente da perdere.- mia madre urla spaventata, e il poliziotto esegue il mio ordine.
Non mi fermerò, non più.