« Il tramonto non ha la forma di una fascia / ma di rovi rossi e guizzanti come fuoco », le lacrime sono figlie di un pianto così forte da arrossare gli occhi, rimane una valle asciutta e arsa dai colori caldi e soffocanti.
"Partenone" è chiaramente una provocazione. Non c'è nulla di così aggraziato e armonioso tra i versi di questa raccolta, non c'è la suggestione delle forme che un'opera di così grande magnificenza può lasciare in chi guarda. Ma tutto ciò che può contribuire a consumare una luce del suo umile splendore. Durante una pausa ai piedi della statua di Carlo Alberto, in centro a Torino, i demoni interiori approfittano del silenzio per far sentire la loro voce. « Il tempo non ritorna nulla: se è spento è spento » detto con la consapevolezza spaventosa della propria condizione, di chi non nega e non ci prova neanche.
L'opera si mantiene sullo stesso tono e poco sotto, tra l'annuncio di una tempesta imminente e il dialogo incessante con la morte del proprio io. Solamente un pallore di speranza nella lirica conclusiva, tra rimorsi e l'attesa di un presente migliore, a chiudere esattamente come tutto è cominciato: nel buio che gela ogni certezza. Perfino la donna è ostile, colei che ha sempre trasceso la realtà sensibile, adesso è Nereide, pur con la stessa inconfondibile Bellezza.
Lo stile è tagliente, fisico e concreto, ricco di immagini reali, nere e surreali, visioni e considerazioni su quanto accade. L'epicità del crollo della notte non è il momento finale, ma semplicemente una nuova vista, non meno sconvolgente della precedente.
Non si può descrivere. Qualche nodo in gola da sciogliere, qualcosa non detta. Pezzi di qualche giornata raccontata in rima o in prosa. Uno sfogo. Giudica tu.