Narro da tuo umile, mortale strumento, o Musa saggia, come la voce oramai perduta della bella Licaonide, l'eroina Parrasia che millenaria giace nel polo di ghiaccio, incatenata e punita dalla crudeltà degli dei, cosicché io possa far rivivere fra le parole mie le sue speranze, i sogni, il coraggio che la portò a fuggire dal palazzo terribile dei Lupi, verso gli spensierati colli dell'Arcadia, tra le ninfe e le belve. Racconta, t'imploro io, attraverso la mia lingua, ciò che hai celato, tu furba, al mondo terreno degli antichi ciechi e superbi, che mai hanno osato, che mai hanno difeso, e lascia che possa essere io questa volta, a cantare della Grecia mitica di Callisto, colei che in vita portò la pelle d'orsa anziché la veste, giovane e in armi come la castissima Artemide, sua immortale compagna inseparabile. Fai tu dea, benedetta da tua Madre, che io riviva la corsa, la caccia, le foreste lontane che mai ho visitato, e le farò frasi per chi le cerca, con ciò che posso, io essere indegno, ridicolo, lontano dinnanzi alla collera bruta e indomabile di Febe, alle lacrime addolorate dall'ingiustizia che innalzarono nel cielo glorioso, tra le stelle, la Grande Orsa luminosissima.
Per la Ninfa che era bella, e la Dea che l'ha amata e l'ha uccisa.
"Ero cresciuta in una corte e non sapevo nulla della vita nelle fitte foreste, di come le creature lottassero per le loro vite divorando i deboli e combattendo contro i forti, prima di perire sotto la potenza dei più forti ancora. Ma persino nel profondo d'un regno di boschi freddi e ombrosi come quelli dell'Erimanto, c'era sempre qualcosa di cui tutti noi sapevamo di poter essere sicuri.
Che ogni essere che vivesse in quelle lande selvagge non avrebbe mai osato oltraggiare la divina Artemide."