"Il ricordo della mia terra mi tormenta l'anima. Amo le sue spianate più ancora delle mie ossa. Le sue valli sono strati della mia pelle. Le sue montagne si inerpicano lungo le mie membra come rami di edera ostinati. Eppure anche questa terra mi appartiene. La generosa mano che mi ha accolto mi ha aperto un nuovo grembo. Una nuova gestazione in me mi ha reso figlio di Moena. Per questa nuova madre sento che potrei dare la vita. " Balaban fu un uomo illuminato e illuminante. Aveva il carisma del condottiero e l'eleganza di un sultano di altri tempi. Era lontano anni luce dalla mentalità del suo popolo, eppure ne amava l'essenza. La sua mente era un crocevia di culture, che il suo corpo restituiva. Nei suoi occhi il ricordo della sua terra ribolliva come il suo stesso sangue. Il richiamo delle moschee era come linfa vitale per le fibre del suo corpo. Eppure, sentiva irresistibile il desiderio di andare oltre. Ne era soggiogato, quasi imprigionato. La sua pelle tirata disegnava perfettamente i lineamenti che una mano invisibile aveva voluto dare al suo viso. Ebano e oro in un miscuglio di passione che non lasciava scampo. Le labbra sottili, spesso incorniciate dall'ombra della sua barba trasudavano passioni illecite, seppur delicate. Ma il sanguigno baleno dei suoi occhi era la vera forza motrice delle emozioni. Tempeste e mareggiate con grandi onde capaci di rivoltare i fondali oceanici cedevano improvvisamente il posto al sereno cielo di primavera o assolato sorriso dell'estate, lasciando in chi vi si imbatteva il sapore del tutto e niente, del desiderio e del suo impossibile appagamento. Perché? Perché tale è la divinità di un uomo che resta se stesso sempre, ovunque e comunque.