"Posizionò il coltello tagliente, di argento, nella mia falange. La lama, pericolosamente affilata. Era salda sulla mia pelle. Chi era lui? Intravedevo due grosse mani stringere il manico del pugnale. Sentivo, la sua presenza premere sul mio corpo, ammaccato su quella parete. Ma non riuscivo a vederlo, per quanto io ne percepivo la viralità. Il suo viso era il buio, si mimetizzava con l'oscurità. <<Ti prego, non uccidermi.>> Pensai ad alta voce, in un piccolo sussurro. <<Perché non dovrei farlo?>> Tuonò, una voce maschile bassa, baritona. Ansimai, e maledì il momento in cui. Percepì la paura attraversare le mie ossa. Non dovevo avere paura, o sarebbe stata la mia fine. <<Ti prego non farlo.>> Cercai di ribellarmi, ma lui strinse la pressione fra noi due. <<Piccola Rosevelt, è meglio non muoversi.>> Bisbigliò al lobo del mio orecchio. Un piccolo gemito, innocentemente uscii dalle mie labbra. Così vicine alle sue, che riuscivo ad inalare il suo respiro. <<Come sai il mio nome?>> Chiusi gli occhi arrendendomi alla paura, la mia peggior nemica. <<Io so tutto di te Rosevelt Hardy. Ti osservo giorno e notte. So cosa mangi la mattina, quando fai la doccia. Tutti i tuoi contatti. Compro appositamente, le copertine di moda solo per vederti posare per le fotocamere.>> Tirai indetro la testa, accaldata. <<So anche il tuo più grande segreto.>> Un assiduo impulso arrancava. Si avvicinò nuovamente, ad un centimetro dal mio viso. <<Io so che cosa ti eccita più di tutti e tutto.>> <<La paura.>> Quelle parole furono impresse in me. Aveva tremendamente ragione. La paura era la mia manipolatrice. Io ero la sua burattina, e lei muoveva i fili. Controllava le mie mosse, era la mia voce. E in questo istante mi stava dicendo di continuare il suo gioco. Per cui, mi venne naturale unire le nostre labbra. In un bacio focoso, e del tutto sbagliato. Nonostante il coltello piantato sul mio collo, e la sua erezione che stuzzicava il mio sesso."
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