(è una storia basata per lo più dal punto di vista di lui, c'è anche il pov di lei, ma più di lui)
Non avrei dovuto farlo. Non c'era nessuna logica, nessun piano. Ma quando i miei occhi l'hanno vista, il mondo ha cominciato a frantumarsi, come se ogni certezza su cui poggiavo stesse crollando. Ero appena uscito dall'inferno, strappato via dall'ombra della morte per un soffio: evaso da un carcere che ormai mi aveva già condannato. Su di me gravavano sentenze di morte, una dopo l'altra, una lunga scia di sangue che nessuno avrebbe mai potuto lavare. Omicidi, dentro e fuori quelle mura, come sigilli di un destino oscuro che ormai avevo abbracciato. Io sono il mostro di cui parlano nei notiziari, quello che sussurrano a bassa voce nei vicoli e che chiamano sociopatico, senza nemmeno capire cosa significhi davvero.
E poi, eccola lì. La notte la circondava come un manto di pece, i suoi vestiti fradici aderivano al corpo, mentre lei si disperava, singhiozzando, con una fragilità così disarmante che era quasi intollerabile. Il suono delle sue lacrime era come una lama, affilata, che si infilava sotto la mia pelle. Mi colpiva il sistema nervoso, risuonava nelle ossa, in un crescendo che sembrava fatto apposta per annientare la mia lucidità. C'era qualcosa in lei, una tristezza che mi irritava e mi stregava al tempo stesso, come se quel dolore appartenesse solo a me.
Prima che potessi rendermene conto, le ero già addosso, con la freddezza di un predatore. Non serviva nemmeno usare troppa forza: la sua resistenza era un'illusione, una fiamma che si spense subito, all'ombra della mia presenza. Con una minaccia sussurrata all'orecchio e uno sguardo che non ammetteva repliche, l'ho portata via con me, strappandola a quel mondo che l'aveva abbandonata.
Ora è con me. Non c'è via d'uscita per lei, né per me. Ho deciso che sarà mia, e mia soltanto. Lei è il filo sottile che mi tiene ancorato a qualcosa che ancora non comprendo.