I miei genitori litigavano di continuo. Mio padre beveva e mia madre era senza lavoro. Si urlavano contro per qualsiasi cosa, qualunque stupido motivo, qualunque piccola questione li faceva arrabbiare. Non avevo una stanza per me, quindi mi acquattavo in un angolo con le mani sulle orecchie. La mia unica via di fuga era ritirarmi nel mio piccolo mondo che ormai non bastava più a contenermi. Non c'era luogo in cui potermi riposare, in cui poter chiudere gli occhi e far sì che ogni preoccupazione sparisse. Fu allora che scoprii una band chiamata “Sad Machine”. La cantante era nella mia stessa triste situazione. Avevo sentito che, quando stava male, si copriva le orecchie con le cuffie e scappava nel mondo della musica. Provai anch’io e fu come se tutto fosse stato soffiato via. Le sue parole urlavano per me, si addoloravano per me. Dicevano che coloro che seguivano il senso comune erano nel torto e coloro che piangevano erano nel giusto, solo chi soffriva era più umano. Urlavano all'impazzata, stridevano e distruggevano. Mi salvarono.
Un giorno, mentre tornavo a casa, l'ho incontrata per la prima volta abbandonata lungo il ciglio della strada. Si trattava di una chitarra che divenne presto mia amica. Iniziai a cantare, mi esibivo per strada e vedevo che la gente apprezzava veramente la mia musica e per la prima volta anche me. Ero felice che nella mia vita, seppure vuota, avessi delle canzoni, delle canzoni mie che riflettevano tutta me stessa.