«C'è qualcosa nei suoi occhi stasera, signorina.»
«È solo stanchezza.»
Lui scosse il capo, la voce quasi un sussurro.
«No. È come se stesse vedendo qualcosa che io non posso.»
«E deve rimanere così.» poi sussurrò «Te l'ho promesso.»
La notte su Seoul era tagliente, limpida come vetro.
Junghee non dormiva bene da anni, ormai. Ogni volta che chiudeva gli occhi, qualcun altro si svegliava di soprassalto, preda di un incubo che non gli apparteneva.
Era sempre stato il suo dono, o la sua condanna - far scorrere la paura negli altri come un riflesso del proprio respiro.
Ma ora quella cosa dentro di lei stava cambiando: si muoveva da sola, come se avesse trovato il modo di liberarsi da lei.
Jimin, il maggiordomo assegnatole da una famiglia che non si fidava, avrebbe dovuto soltanto controllarla, tenere le distanze, riferire.
Eppure restava.
Restava, anche quando l'aria tra loro diventava troppo sottile per respirare, anche quando l'oscurità che li separava sembrava viva.
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