Una donna può diventare un'ombra nella propria vita con una lentezza quasi impercettibile. Può cedere i suoi colori più vividi, uno alla volta, per illuminare il mondo di qualcun altro, finché la sua tela personale non diventa un capolavoro di sfumature di grigio. Si convince che la quiete sia pace, che la routine sia sicurezza e che il silenzio sia una forma d'amore.
Ma cosa succede quando quel mondo, costruito con meticolosa abnegazione, viene demolito in un istante?
Questa è la storia di Luce, una donna che a quarantotto anni si ritrova tra le macerie della sua vita, con un nome che suona come una beffa. La sua luce si era spenta da tempo, sepolta sotto vent'anni di abitudini, compromessi e passioni messe a tacere. Era una pittrice che aveva dimenticato come dipingere per sé, una gallerista che esponeva l'arte altrui senza più riconoscere la propria.
Il suo risveglio non inizia con una lacrima, ma con un brivido. È il primo, timido ritorno del sangue in un arto che si credeva morto. È la riscoperta di un corpo a lungo trascurato, che da involucro funzionale si trasforma nel vero e proprio strumento della sua rinascita. Le sue mani, abituate a maneggiare pennelli e tele, imparano un linguaggio nuovo e antico sulla propria pelle, tracciando le mappe di un desiderio che credeva perduto per sempre.
La sua non è solo una ribellione contro il dolore, ma un'insurrezione erotica. È la lenta, audace riappropriazione di sé attraverso i sensi: un profumo che la riporta a una versione più selvaggia di sé stessa, un sapore che le ricorda la fame di vita, uno sguardo allo specchio che non cerca più difetti ma celebra il potenziale. Luce impara che la creatività più potente non è quella che si appende a una parete, ma quella che si vive.
Quante volte si era creata una pericolosa vicinanza dei nostri volti, con i respiri uniti nello scorrere delle parole, delle risate, degli sguardi d'intesa.
Quante volte, quando un attimo di silenzio fra le nostre frasi pareva divenire un'eternità avevo pensato: "ora la bacio".
In quei momenti i nostri occhi si incontravano, entrambi pareva fossimo consci di ciò che stava per accadere, ineluttabile come il sole che lentamente si spegneva alle nostre spalle cedendo alle ombre soffuse del tramonto, creando un'atmosfera intima e complice all'interno dell'auto.
Poi quell'attimo fuggiva e non accadeva nulla, si dissolveva come un pensiero sconveniente, di cui ci si pente nello stesso momento in cui sorge.
Restava in bocca la sensazione sgradita d'una medicina dal sapore amaro, ingoiata conto voglia, sapendo di non poter fare in modo diverso.
Nel salutarci, lei mi sfiorava la guancia con un bacio rapido e innocente, o la carezza lieve della mano, poi apriva la portiera e usciva per raggiungere la sua auto più avanti nella via.
Restavo a guardare la sua figurina allontanarsi con l'ombra lunga della sera che anticipava i suoi passi.
Le tempie mi pulsavano: "Ti amo Martina" mi dicevo in silenzio, con dentro un languore dolente e freddo.
Rimasto solo, inspiravo a occhi chiusi la sua essenza che ancora albergava in macchina nella fragranza lasciata dal suo profumo.