Mancanza di volontà, blocco dell’essere, di fronte alla vita. Paura di vivere, o voglia di affrontarla? A metà tra i due estremi, ha luogo la più fredda delle indecisioni, delle domande, che si pone l’uomo quando è così estraniato dalla realtà a lui vicina, che ha la mente libera, per riempirla di dilemmi. Profondi, dilemmi. E nasce il filosofo, l’uomo pensatore, eremita distaccato e al medesimo tempo coerente, con la realtà che vive, e che affronta ogni giorno. Perché è proprio su tale realtà, che inizia a torturarsi, per trovarne un senso specifico, e per trovare il perché della sua esistenza. Che senso ha vivere, e che ruolo occupo in questo disegno tanto perfetto, quanto enigmatico e imperscrutabile? Perché, partiamo dal fermo presupposto, che tutto accade per una ragione, per il semplice motivo che in un universo perfetto e disegnato per far quadrare al suo interno ogni dubbio centrifugo rispetto alla volontà di esistenza, non c’è posto per le domande irrisolvibili. Sono irrisolte in noi stessi, in quanto individui limitati, ma l’artefice della meraviglia, della realtà tanto fuggevole quanto silenziosa, in cui coesistiamo, nel momento stesso della creazione, ha programmato tutto affinché anche i punti interrogativi più reconditi, siano passibili di risoluzione. Perciò partiamo dal presupposto, che tutto ha un senso, un motivo, e domandiamoci quale sia il nostro, di motivo. Domandiamoci per cosa siamo tagliati, a cosa serviamo a quest’ordine perfetto, che ruota dentata siamo, all’interno dell’ingranaggio. Siamo indispensabili per il suo funzionamento, o l’ordine continuerebbe a fluire anche senza la nostra presenza, che per quanto miserabile possa essere, acquisisce significato nel momento stesso in cui veniamo concepiti? Tutti, siamo pedine; tutti, occupiamo una posizione, più o meno preminente, nello scacchiere della realtà, più precisamente, di quella di cui abbiamo coscienza.
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